Stefano Paternò, che non poteva scegliere, ucciso due volte: quando l'Italia è kafkiana
Il militare viene stroncato dal vaccino, secondo la magistratura che però manda assolti tutti. Ma non deve stupire, il regime non può permettersi di mettersi in discussione, il potere si blinda nella follia. Vi è costretto, il precedente farebbe crollare 3 anni criminali.
A Inzago, nell’oscuro hinterland milanese, cintura est, la quindicenne Giada Pollara si accascia mentre fa ginnastica a scuola. Non si riprende più, muore all’ospedale dopo due giorni di agonia. E i giornali: un caso, nessuna correlazione. L’excusatio non petita ha superato le colonne d’Ercole del patetico e si avvia a rompere i coglioni: in gioco c’è la vita, il futuro di una quindicenne. Una? No, migliaia e migliaia e migliaia. Asfaltata anche questa, Bertolaso? No, lei era vaccinata, senza poter scegliere dato che era una adolescente, una ragazzina. Asfaltati quelli così, a migliaia e migliaia e migliaia. E ancora avete voglia di fare gli sboroni, i provocatori, “vi abbiamo asfaltati voi novax, vi abbiamo distrutti”? No, avete distrutto tutti, di qua e di là dalla siringa. Mi spifferano da ambienti della politica lombarda che l’ex padreterno della Protezione Civile non viva tranquillo, si sentirebbe mancare il terreno sotto i piedi, Forza Italia sarebbe lì lì per farlo fuori e i suoi sponsor si eclissano: per vera che sia la storia, niente autorizza un assessore ad esprimersi in questo modo volgare, offensivo, qualcosa che ricorda fosche memorie recenti, sul filo del grottesco e del violento; diciamo sull’onda del siparietto di un paio di Sanremi fa, l’ineffabile coppia Fiorello e Amadeus che “asfaltava” i “novax” simulando crisi epilettiche, decorsi fatali. Come piaceva al potere che poi si sarebbe palesato, solenne, ieratico, al Festival.
Anche un altro, fra le migliaia e migliaia, è stato appena “asfaltato”, per la seconda volta: è l’ex militare Stefano Paternò, ammazzato da una dose di Astrazeneca e in questo caso si può dire perché lo ha sancito la magistratura, la quale però è riuscita nel capolavoro di mandare tutti assolti: Astrazeneca, i sanitari che avevano somministrato la dose, chi doveva vigilare. Del resto, tutto si può motivare, non è vero? Ci sono due leggende, più oscene che metropolitane, a spirare come venti di retorica e di menzogna nei Palazzacci italiani: una è l’obbligatorietà dell’azione penale, mai rispettata, sempre usata con perizia chirurgica, vuoi per rappresaglia, vuoi per servizio del regime gradito contro il potere avverso; l’altra è che le sentenze sono sacre, si rispettano. Anche una che assolve quelli che in pratica definisce omicidi? Anche quelle. Soprattutto quelle. Avrebbe destato scalpore, se non scandalo, il contrario, la magistratura che fonda il precedente. No, bisogna proprio negare nel modo più inverecondo e se costa la discesa negl’inferi della coscienza, tanto meglio: è la prova, esibita, perfino minacciosa, che il potere non si ferma davanti a niente, protegge se stesso a qualsiasi costo e non lo spaventa pagare il tributo alla follia, all’indecenza. Il potere in una democrazia negativa o malata è costretto ad essere tronfio, si giustifica affermandosi, è quella la misura della sua potenza in certo modo disperata. E disperante.
Il regime autoritario, concentrazionario non può permettersi ripensamenti, messe in discussione, analisi spassionate. Immaginate cosa sarebbe successo in caso di condanna plurima circa la morte del povero fantaccino Paternò, un altro senza possibilità di scelta essendo uno delle forze armate: veniva giù il castello delle false verità scientifiche, dei medici ballerini, dei primari che frignano con Mattarella e ne approfittano per farsi un altro po’ di pubblicità. Quelle coreografie demenziali in ospedale, i dottori “angeli” e “eroi” che sbagliavano tutto, vuoi per incoscienza, vuoi per viltà, per conformismo, le infermiere veline che si pitturavano in faccia “i segni della fatica” e due giorni dopo correvano a Dubai, tettazze al vento, per ritemprarsi, l’informazione da casino che mentiva sapendolo, il clero non di Cristo ma dei farisei, che chiudeva le chiese in faccia ai fedeli, che ancora oggi non rinuncia alla mascherina, l’ossequio diffuso, cieco, demente alle strategie di potere, criminali “tachipirina e vigile attesa”, intubazioni assurde, divieto di sondare terapie diverse, messa al bando dei medici non normalizzati, isolamento: morire soli, impotenti, con un tubo in gola, senza poter vedere nessuno, terrorizzati, è la morte più atroce, più infernale e l’hanno patita migliaia e migliaia e migliaia di Cristi in croce: per cosa, per chi? Per un regime che doveva perpetuare se stesso, la propria corruzione, la propria tragica inadeguatezza e impreparazione?
E che adesso deve seguitare a blindarsi. Lo fa con l’avallo della magistratura di servizio. Perché tra le faccende italiane che non si dovrebbero accettare, e invece si accettano, c’è questo capolavoro di una magistratura completamente asservita alla sinistra, al PD, che è insieme prigioniera e carceriera, controllata e controllora: il sistema giudiziario sa che deve votarsi al PD per fare carriera, per salirne i gradi, e prende orientamenti, prende ordini, dall’ultimo magistrato di paese ai vertici supremi; non sono illazioni del cronista maligno ma le evidenze del sistema Palamara, pentito per manifesta colpevolezza, lo spretato diventato eroe in virtù di chissà quale moralità. Allo stesso modo il partito teme il sistema giudiziario o almeno ne diffida, sapendo di irrobustire costantemente un potere irresponsabile, in grado di creare i suoi golpe e le sue rappresaglie anche contro chi lo ha edificato; l’unica cosa che salva la politica che controlla la magistratura che lo controlla, è che quest’ultima ha costantemente bisogno della politica perché non si accontenta, è famelica, vuole salire sempre di grado, i suoi elementi vogliono a un certo punto smettere la toga e partire per Roma o per Bruxelles e il passaggio da un potere all’altro deve essere gestito con le dovute cautele, coi necessari compromessi più o meno inconfessabili. Non è una sorpresa il capolavoro di nonsenso con cui una corte assolve quelli che definisce responsabili di omicidio; già a suo tempo la Corte Costituzionale aveva trovato modo di ribadire la assoluta correttezza di decisioni più che discutibili alla luce del dettato costituzionale, decisioni che obbligavano, ricattavano, rinchiudevano a oltranza, argomentando che quelle prepotenze andavano nel senso del potere buono: «Il filo conduttore delle nostre decisioni – aveva detto la presidente Silvana Sciarra, oggi in scadenza - è stata la non irragionevolezza delle scelte adottate dal legislatore, sulla scorta dei risultati raggiunti dalla scienza». La non irragionevolezza? I risultati della scienza? Ma se la scienza, e così la cronaca nera, non hanno fatto altro che sbugiardare quei risultati. Mattarella, che di questa magistratura è il vertice, davanti a una simile spericolata teorizzazione non aveva aperto bocca e non la apre a maggior ragione oggi nel caso del fantaccino Paternò, ucciso due volte da killer riconosciuti e, come tali, in quanto tali, salvati. In nome del popolo italiano. Sono molti ad essere asfaltati, e più di tutti lo è la decenza di un Paese che ormai non nasconde più la sua anima kafkiana.