Sequestrato e pestato a sangue per un debito di droga, in manette la banda che aveva torturato il giovane

Grazie alle indagini arrestati altri tre ragazzi. Alcuni mesi fa era finito in carcere il ventunenne che aveva guidato l'auto usata per la spedizione punitiva

I carabinieri, al termine di una indagine durata più di sei mesi, hanno individuato e arrestato, su ordinanza di custodia cautelare del gip di Genova, tre membri della banda che la notte del 5 marzo scorso aveva sequestrato, picchiato e rapinato un giovane per un debito di droga. A maggio era già finito in manette il proprietario dell’automobile utilizzata per la spedizione punitiva: un genovese di 21 anni.

La vittima era stata raggiunta nella sua abitazione a Masone, comune dell’entroterra genovese,  da quattro persone che lo avevano picchiato e minacciato con attrezzi da scasso e coltelli per poi derubarlo di un pc, un tablet e due telefoni. Il ragazzo poi era stato sequestrato e messo su un’auto guidata proprio dal ventunenne finito in manette per primo, ed era stato portato a Sampierdarena e rilasciato quattro ore dopo. Prima di liberarlo lo avevano pestato a sangue: era stato ricoverato con il naso e la mascella spaccati dai pugni, lesioni giudicate guaribili con 30 giorni di prognosi. Il genovese finito in manette per primo aveva ammesso, intercettato in una conversazione con la fidanzata, di aver ricevuto un compenso di 1500 euro per guidare l’auto dagli altri tre.

Attraverso l’analisi delle telecamere di videosorveglianza e dei tabulati telefonici, e a diverse testimonianze raccolte, anche gli altri tre responsabili della vicenda sono stati individuati. Due sono stati portati, grazie all’ordinanza di custodia cautelare del gip, nel carcere di Marassi, mentre il terzo è stato arrestato a Roma. Tra gli indagati, ventenni nati in Italia ma di origine sudamericana, un ruolo primario era svolto da due fratelli conosciuti con i soprannomi rispettivamente di Washington e Quality con i quali erano soliti graffitare, per delineare il possesso del territorio, i muri del loro quartiere vantandosene poi sui social network dove, tra l’altro, non solo mostravano di avere disponibilità di sostanza stupefacente ma, in più occasioni, si filmavano durante il consumo di droga. Avevano condiviso sui social anche alcuni momenti del raid punitivo. La prova che gli ha aperto le porte del carcere.