Barbiere decapitato, il racket dell'immigrazione è il movente dell'omicidio di Mahmoud?
Si allarga l'indagine della Procura di Genova e dei carabinieri sul delitto del diciannovenne ucciso dai suoi datori di lavoro. Un file audio può essere la svolta
Può la minaccia di una causa di lavoro essere il movente di un omicidio efferato come quello di Mahmoud Abdalla? Il diciannovenne di origine egiziana è stato ucciso lo scorso luglio, e i suoi resti – senza testa né mani - sono stati gettati in mare nel Tigullio. Per quel delitto sono stati arrestati i connazionali della vittima Abdelwahab Kamel detto “Tito”, 27 anni, e Abdelghani Ali detto “Bob”, 26 anni: il primo era il gestore di fatto del Barber Shop di via Merano, a Sestri Ponente, l’altro era il responsabile della cassa. Titolari della barberia, però, non erano loro ma Mohamed Alì detto “Aly”, cugino e fratello dei due arrestati. L’uomo è ancora al Cairo, nonostante le sue continue promesse di un imminente rientro. Secondo gli inquirenti potrebbe fornire ulteriori elementi per la ricostruzione dell’omicidio: perché era lui che faceva lavorare tante ore Mahmoud e i suoi colleghi ed era lui che lo pagava poco come tutti gli altri. Il diciannovenne si era ribellato, raccontando alla Guardia di finanza durante i controlli sul lavoro nero del 19 giugno le condizioni che doveva accettare per non essere licenziato. Per i carabinieri del Nucleo Investigativo di Genova, e per il pm Daniela Pischetola, però deve essere stata una ragione più forte ad armare la mano dei suoi assassini. Quale?
Una frase può rivelare il movente
Una pista potrebbe fornirla un file audio relativo a un messaggio vocale di Whatsapp che il ragazzo ha inviato poco prima di essere ucciso. Una frase in particolare conferma quanto i problemi nella barberia di Sestri Ponente non fossero legati solo a salari e turni massacranti. Abdalla nel vocale dice a un barbiere a cui ha chiesto lavoro: “Voglio vendicarmi di Tito (uno dei suoi carnefici) per quello che sai”. Cosa sa? Il destinatario di quel messaggio dice di essere all’oscuro di cosa sapesse il giovane, ma gli investigatori ritengono che la rabbia della vittima possa essere legata al racket dell'immigrazione: quasi tutti i giovani barbieri impiegati nei negozi di Sestri Ponente e Chiavari arrivano dall'Egitto passando per Milano e vivono in appartamenti affittati dai titolari. Per questo motivo gli altri dipendenti verranno nuovamente sentiti dagli inquirenti e verranno acquisiti i dati delle loro utenze telefoniche. Nascondono qualcosa perché hanno paura di fare la fine dell’amico, o che qualcuno possa fare del male ai familiari rimasti in Egitto?
Salma restituita alla famiglia in Egitto
Intanto, dopo più di un mese la Procura di Genova ha autorizzato il dissequestro della salma di Mahmoud. Il cadavere finora era rimasto a disposizione dell'autorità giudiziaria per consentire sia l'autopsia sia l'esame del dna. Il corpo, orrendamente mutilato, era stato trovato al largo di Santa Margherita Ligure; le sue mani erano state invece rinvenute su una spiaggia di Chiavari a distanza di 300 metri l'una dall'altra lo scorso 24 luglio. Ma, nonostante le ricerche incessanti, la testa non è stata ancora trovata. La famiglia, però, aveva espresso la volontà di seppellire i resti al più presto in Egitto e gli investigatori hanno deciso che era inutile continuare a negare il rientro del feretro: Mahmoud era emigrato in Italia per inviare i soldi ai genitori e alla sorellina malata.
Il titolare vuole riaprire la barberia, la Procura dice no
Tito e Bob, i due assassini, si trovano in carcere: uno a Cuneo e l’altro ad Ivrea, e sono accusati di omicidio e occultamento di cadavere. Sono stati trasferiti da Marassi per ragioni di sicurezza (si temeva una possibile vendetta da parte della comunità egiziana). Il titolare del negozio Aly, invece, ha chiesto, tramite i suoi avvocati, il dissequestro dell'attività. L’istanza per ora è stata rigettata perché i Ris del carabinieri devono effettuare un sopralluogo nella barberia di via Merano.