Strage di Brandizzo: “Se c’è un treno, vi avviso e vi togliete”, così un ex collega delle vittime sul modus operandi
Oltretutto, non era stata calata la pattina, il dispositivo solitamente posizionato sulle rotaie durante i lavori e rilevato dal sistema di sicurezza
Le indagini sull'incidente ferroviario di Brandizzo, che ha causato la morte di cinque operai, proseguono e nelle ultime ore sono emersi nuovi dettagli inquietanti riguardo le responsabilità dell'azienda e i modus operandi di quest'ultima. La Procura di Ivrea sta lavorando sull'ipotesi che l'incidente sia stato causato non solo da errori umani, ma anche da una pratica potenzialmente diffusa tra gli operai. Sembrerebbe che squadre di lavoratori entrino sui binari prima degli orari concordati, talvolta addirittura tra l'arrivo di un treno e il successivo, agendo con una sorta di sorveglianza "a vista", avvisando gli altri di ritirarsi in tempo.
Strage di Brandizzo: “ Se c’è un treno, vi avviso e vi togliete”, così un ex collega delle vittime sul modus operandi
Antonio Veneziano, ex collega dei cinque operai deceduti, ha dichiarato che questa pratica era comune: "È capitato più volte mentre ero lì, andavamo sul binario per affrettare il lavoro." Ma Veneziano non è l'unico a rivelare questa cruda verità.
Ignazio Drago, che ha lavorato per quarant'anni nello stesso settore di Antonio Massa, uno dei dipendenti di Rfi sopravvissuto alla tragedia di Brandizzo, ha spiegato che i tempi di lavoro erano estremamente stretti. La pressione sui tempi da parte dell'azienda potrebbe aver contribuito a incoraggiare pratiche rischiose. "I tempi di lavorazione sono minimi, c'è la preoccupazione di non finire un lavoro", ha detto Drago. "Se poi come in questo caso il treno porta ritardo, i tempi si riducono. Due sono le cose: o si sospende l'attività o la si riduce e la si rinvia al giorno dopo. Lì bisogna scegliere o i costi o la vita delle persone".
Il nulla osta negato
La notte dell'incidente, Antonio Massa era sotto pressione. Aveva chiesto il permesso alla capostazione di Chivasso per iniziare i lavori, ma gli era stato negato ben tre volte. Un treno era già passato all'orario concordato, mentre un altro sarebbe passato dopo l'una e trenta, costringendo gli operai a interrompere i lavori. Mancava solo l'appello previsto per le 23.30, ma era in ritardo. Nonostante la mancanza del "nulla osta", il capo scorta avrebbe permesso agli operai di scendere sui binari.
C'è poi un ulteriore dettaglio inquietante emerso durante le ultime indagini: non era stata calata la pattina, il dispositivo solitamente posizionato sulle rotaie durante i lavori e rilevato dal sistema di sicurezza. Questo potrebbe aver impedito al treno di rilevare la presenza degli operai in tempo.
La telefonata con la dirigente movimentazione: "Non potete fare i lavori, arriva un treno"
Un passaggio cruciale è stato l'audizione della giovane dirigente movimentazione, 25 anni, con due anni di esperienza nel settore dopo aver completato il corso ad Alessandria. Quella notte, era in costante contatto telefonico con Antonio Massa, 46 anni, il responsabile di Rfi incaricato della squadra di operai. Massa, insieme al caposquadra della Sigifer, Andrea Girardin Gibin, 52, è attualmente indagato per disastro ferroviario e omicidio plurimo con dolo eventuale. Durante le telefonate con Massa, la giovane dirigente ha comunicato per tre volte che non c'era l'autorizzazione per iniziare i lavori: "Deve passare un treno in ritardo", "Non potete fare i lavori prima di mezzanotte" e "aspetta che chiedo". Questi allarmi inascoltati e i registrati nel server, sono stati confermati a colleghi e parenti. Una versione dei fatti che è stata ampiamente discussa durante l'audizione, che si è protratta per oltre sei ore, davanti ai pubblici ministeri Giulia Nicodemi e Valentina Bossi, i quali stanno coordinando le indagini della Polfer.