Il fact-checking, l'altra faccia della mistificazione, alla faccia della libertà di informazione e di espressione
La Magistratura dorme sonni beati mentre la libertà di espressione viene calpestata
In un mondo ideale, ciascuno è libero di esprimere ciò che pensa. Tuttavia, un conto è esprimere un’opinione – giusta o sbagliata che sia – un altro è negare la verità.
Esistono fatti incontrovertibili, ad esempio che gli esseri umani nascono maschi, femmine o ermafroditi e l’appartenenza a una categoria o all’altra dipende da differenze ben precise, catalogate dalla scienza.
La nostra Corte Costituzionale - che crede nella scienza, come ha affermato la sua Presidente Silvana Sciarra - dovrebbe decidere una volta per tutte che un uomo mutilato degli organi genitali non è una donna. Io ho il diritto di esprimere questa mia opinione.
Ma i diritti – lo abbiamo imparato – sono scritti sulla carta e basta un’emergenza vera o presunta per sospenderli. Nel frattempo, anche senza emergenza, se io scrivo su questo giornale o sui social media che Miss Olanda è un maschio mutilato (che è una Verità scientificamente incontrovertibile) vengo censurato.
L'articolo 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, recita “1. Ogni individuo ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera. (omissis)”
L’articolo 21 della Costituzione recita: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. (omissis).”
Prendo atto che in Italia anche queste norme (come già gli articoli 11 sul rifiuto della guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali e il 32 sui limiti dei trattamenti sanitari obbligatori) sono lettera morta.
Osservo che la gravità dell’emergenza democratica passa sotto silenzio (anche) a causa del bavaglio messo alla libera informazione. I gestori della rete violano quotidianamente le Convenzioni internazionali e le Costituzioni nazionali e nessuno stigmatizza il semplice fatto (intuitivo anche per un non giurista) che il regolamento privatistico di Facebook (o di qualsiasi altro social media) non può pregiudicare il diritto di ciascun cittadino italiano di non subire censure. I social media rientrano in pieno nella definizione di “ogni altro mezzo di diffusione” e sono tenuti ad applicare la normativa vigente.
I fact checker inviano a Facebook la lista dei media da censurare o oscurare e i social media – tramite intervento umano diretto o tramite i loro algoritmi – oscurano e censurano. Senza verifica o contraddittorio.
Soggetti privati si arrogano il diritto di decidere cosa sia vero e cosa sia falso: si dichiarano imparziali ma è ben noto a tutti che fanno gli interessi dei loro finanziatori. Tutto in violazione dei nostri diritti perché – come appena richiamato – per l’articolo 21 della Costituzione: “La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. (omissis).”
La nostra democrazia è indebolita, e il suo futuro in pericolo.
Per fortuna – chissà fino a quando - gli scritti dei dissidenti resistono nei pochi spazi dove sia ancora possibile esprimersi senza condizionamenti, vincoli e censure. Tuttavia, la sopravvivenza della libertà di parola in questi spazi residuali non è garanzia di democrazia, anzi... Nel saggio The Effect of Social Media on Political Polarization in the United States (L'effetto dei social media sulla polarizzazione politica negli Stati Uniti), gli autori Ethan Porter e Thomas J. Wood descrivono come i social media contribuiscano alla polarizzazione politica creando “camere dell'eco” in cui gli individui leggono soltanto opinioni allineate con le proprie.
Queste “camere dell’eco” esistono anche in Italia e sono – ad esempio – i canali Telegram di noti dissidenti. Il loro effetto è che la dissidenza si illude di essere forte e strutturata perché centomila iscritti al canale plaudono al loro leader, quando centomila persone non sono nulla rispetto al numero di chi le opinioni politiche le ascolta soltanto sui media nazionali.
Prova ne è che in Parlamento non vi è un solo parlamentare che rappresenti la dissidenza.
L’Unione Europea ha già sferrato un attacco contro TikTok e tra poco certamente prenderà di mira Telegram. Spero che ciò avvenga presto, prima possibile. I dormienti, i cretini che considerano ancora credibili i pupazzi della nostra televisione neppure si accorgeranno della scomparsa della libertà di informazione. Ma noi dissidenti cercheremo un luogo fisico dove continuare a diffondere la Verità, saremo costretti a riunirci in gruppi reali, in luoghi fisici, non nella rete. E a quel punto, finalmente, diventeremo visibili.
Perché questo è il paradosso dei social media: da un lato, mettono in contatto le persone. Dall’altro, hanno sostituito le manifestazioni nelle piazze. E i movimenti politici non possono diventare visibili vivendo unicamente nella rete.
La libertà di parola è un diritto umano fondamentale, tutelato dalla Dichiarazione universale dei diritti umani. Permette agli individui di esprimere i propri punti di vista e le proprie opinioni senza temere censure o rappresaglie. Il concetto di libertà di parola è radicato nell'idea che gli individui debbano avere il diritto di esprimersi liberamente e che questa espressione debba essere protetta dalla legge.
Anche sull’esercizio del diritto di parola, i social media hanno avuto effetti al tempo stesso positivi e negativi. Da un lato, i social media costituiscono per le persone una piazza dove incontrarsi e comunicare. Dall’altro, è sotto gli occhi di tutti (anche per le recenti ammissioni degli stessi gestori di Twitter e Facebook) che questa piazza è controllata 24 ore su 24 e i gestori dei social media si sono arrogati il diritto di limitare l’esercizio del diritto di parola e di censurare i contenuti, al fine di influenzare persino il risultato di elezioni democratiche.
In Italia, la Magistratura dorme sonni beati, ben protetta da Sergio Mattarella.
Negli Stati Uniti, molteplici decisioni hanno trattato il tema della libertà di espressione sui i social media. Una di queste è Elonis versus Stati Uniti: la Corte Suprema ha stabilito che il governo non può perseguire gli individui che fanno dichiarazioni sui social media percepite come minacciose, a meno che non intendano mettere in atto la minaccia.
Un’altra è Packingham versus North Carolina: la Corte Suprema ha stabilito che una legge della Carolina del Nord che vietava ai criminali sessuali schedati di utilizzare i social media violava la garanzia del Primo Emendamento sulla libertà di parola.
In India, nella causa Shreya Singhal contro l'Unione dell'India (2015), la Corte Suprema ha annullato la sezione 66A dell'Information Technology Act del 2000, che vietava di postare contenuti "gravemente offensivi" o di "carattere minaccioso". La Corte ha ritenuto che la disposizione fosse vaga, eccessivamente ampia e violasse il diritto alla libertà di parola e di espressione. Cito questa sentenza di un Paese tanto lontano per l'invidia che (da avvocato) provo per una Nazione dove la Magistratura è realmente custode dei diritti e ha il coraggio di pronunciarsi contro il potere legislativo.
In attesa del nulla (la Magistratura dormirà almeno fino a quando continuerà a essere asservita agli interessi della politica), non ci resta che continuare a esercitare la libertà di parola su questo giornale. Il Giornale d’Italia è stato penalizzato su Facebook da un "fake fact-checking" effetuato da Open, in quanto con differente linea editoriale. Inutile dire che questo fatto – gravissimo – sarà oggetto di attenta valutazione. Ma anche se intimiditi e preoccupati per il futuro noi andiamo avanti. Perché la Verità esiste e qualcuno deve avere il coraggio di testimoniarla. E questa è (o dovrebbe essere) la missione di noi giornalisti.
di Alfredo Tocchi, 16 luglio 2023