Kata, la piccola rapita un mese fa a Firenze, la madre accusa: "Italiani indifferenti"

Chi è questa madre che più che sconvolta pare coinvolta nel gioco mediatico? Una che si atteggia a Jennifer Lopez, cerca "i potenti" e accusa a vanvera. Ma non dice niente di chiaro, insomma si è già calata nella parte. E stasera, nuova fiaccolata.

L’intervista al Messaggero di questa Katherine Alvarez, madre di Kata, la bimba di 5 anni scomparsa un mese fa da un alveare di extracomunitari a Firenze, è un capolavoro per capire tutto di questi tempi inafferrabili: c’è il vittimismo migrante, c’è il dire e non dire, l’alludere sfuggente, c’è l’offrirsi al potere, che non fa mai male, e c’è la preoccupazione mediatica, il parlare da soggetto comunque uscito dall’anonimato, una che può dire la sua e si illude la stiano ad ascoltare. Già il sequestro della piccola è roba ambigua, avvolta nei sospetti, dinamiche assurde, non si è capito dove fosse Kata e con chi quando è svanita, per quali ragioni possa essere stata presa, se di rappresaglia, di odio interno all’alveare, di faide extracomunitarie, non si è capito quali direzioni abbiano preso le indagini, ammesso che ne abbiano una, certo chi indaga non si perde, se ancora esiste un Dio, a spifferare quello che raccoglie, anche se alla Katherine fa strano. Questa giovane atteggiata da aspirante influencer, con la fisicità e le movenze delle influencer, occhialoni, cappelletti sugli occhi, unghie laccate, scatti dei capelli, chiaramente ispirata alla diva Jennifer Lopez, più coinvolta, sembrerebbe, che sconvolta, presa dal gioco mediatico, non ha mai detto una cosa chiara, si lamenta dello scarso aiuto ricevuto ma non pare abbia fornito grandi spunti a chi è impegnato nelle ricerche; sulle voci di un omicidio o tentato omicidio all’ex hotel Astor tace, comprensibilmente ma allora che pretende? Che ne riferisca chi non c’era, chi non sa? Adesso si rivolge alla Meloni, una richiesta strampalata, la presidente del Consiglio come l’Uomo Ragno, come Batman, la inveterata convinzione, qui come in Sud America, che chi detiene il potere abbia tutti i poteri compreso quello di far ricomparire una bambina che chissà se c’è ancora e se mai dove sta. Dicono: ma è ancora qui, a Firenze. Ma senza nessuna pezza d’appoggio, “me lo sento, sono una mamma” dice la Katherine dietro il broncio influencer.

Vive una tragedia? Certo, e merita comprensione, ma è stravolgente il modo di viverla. Come dietro un velo, un diaframma che separa il tragico dalla messinscena, quel prestarsi alle esigenze della informazione spettacolo, sempre meno informazione. Poi aggiunge questa madre che non si saprebbe davvero come considerare: “Sento una grandissima indifferenza da parte di tutti. Non so se dipende dal fatto che siamo stranieri. Nessuno si è avvicinato a me, a dirmi cosa fare. Nessuno di importante, nemmeno il sindaco”. Nardella avrà magari la coda di paglia, per aver tollerato quegli insediamenti che alla sinistra piacciono tanto sono insensati, micidiali in una società già smembrata di suo, ma gli italiani cosa avrebbero dovuto fare? Se l’atteggiamento è questo, di colpevolizzazione mista a vaghezza, “non so niente, sono confusa”, allora questa giovane peruviana tracagnotta ma a suo modo vanitosa si facesse anche qualche domanda. Gli italiani hanno molti difetti e col tempo sono diventati stronzi a imitatio dei politici e delle influencer di potere, ma da popolo latino non manca loro l’istinto pietoso e il senso del patetico: difficile facciano mancare una parola, una presenza nella tragedia. Se da questa non ci vanno, forse è perché non se ne fidano troppo, non si fidano della continua ricerca di “qualcuno di importante”, come a dire chi sia sia, che non si capisce se è per un reale moto di disperazione o per la caccia spasmodica alla notorietà. O magari è semplicemente che sono saturi di storie come e peggio di questa, di traumi quotidiani, di orrori quotidiani, bambini spiaccicati nelle macchine da balordi che giocano alla sfida estrema, stupri senza controllo, gente che uccide e si ammazza nei modi più gratuiti e demenziali, flussi continui e alluvionali di gente sconosciuta, che arriva, si disperde, non si integra, è disposta a tutto. E poi punta il dito addosso a chi bene o male li accoglie o comunque si dispone a convivenza magari forzata ma comunque non negata. Certo, dopo un mese le speranze di ritrovare la piccolina, Kata, sono al lumicino, ma in una foresta di nebbia e di omertà come quella del termitaio fiorentino è difficile orientarsi. Anche questa, purtroppo, una storia vista e rivista le mille volte, coi parenti che a lungo andare diventano personaggi mediatici come il fratello di Emanuela Orlandi, un altro che te lo raccomando, o i genitori di Denise Pipitone e Angela Celentano sparite rispettivamente 19 e 30 anni fa. In Italia ogni anno si dissolve qualche migliaio di persone, e quasi nessuno torna; alla stazione di Cesena resiste un allucinante volantino con la facce degli evaporati degli ultimi anni, una cosa che a guardarla ti dà la vertigine del destino e dello sbando, ti fa capire quanto siamo evanescenti, tutti, mentre ci crediamo padroni delle nostre vite. Ma incolpare gli italiani, per dire un paese intero, non ha senso. Una cosa è certa: sia che ritrovino la piccola Kata, sia che non la ritrovino mai più, la madre non uscirà di scena. E un po’ perché è inevitabile, un po’ perché nemmeno lei lo vuole. Intanto stasera, per celebrare un mese dalla scomparsa, nuova fiaccolata con le televisioni. Poi prova a dire che non c’è solidarietà.