Alluvione in Emilia Romagna, i media concentrati nelle celebrazioni dell’emergenza continua per costruire una società sempre più insicura

Se non vivessimo in un mondo capovolto si chiederebbe a Bonacini e alla Schlein di spiegare i motivi del mancato impiego di oltre 52 milioni di euro destinati a opere di messa in sicurezza dei corsi d’acqua, inclusi quelli esondati

È più utile la cura del territorio o l’incremento delle spese militari?

È più utile la pulizia degli argini o un carro armato?

È più utile una cassa d’espansione di un fiume o un F-16?

Sarebbe bello se in televisione o sui giornali trovasse spazio un reportage di qualche inviato sui luoghi dell’alluvione che ha devastato la Romagna che facesse domande simili ai cittadini che hanno perso tutto.

Invece i media sono concentrati nelle celebrazioni dell’emergenza continua, nel tessere un racconto finalizzato a costruire una società sempre più insicura e spaventata, radicalmente manichea in cui il (presunto) bene si contrappone con ogni mezzo al (presunto) male.

Invece i media fanno a gara per mettere al centro della scena gli utili idioti del momento, gli attivisti di “Ultima generazione”. Agiscono secondo un preciso modello, l’actingout, sulla scorta dell’esempio di Greta Thunberg.

Sono specializzati in azioni “eclatanti”, sfoghi compulsivi e rabbiosi, reazioni infantili, posture da vittime. Sono perfetti per colpevolizzare il resto del mondo ripetendo ossessivamente il concetto della fine imminente del pianeta a causa dell’attività umana.

Allo stesso modo il più noto e durevole anchorman nostrano ha invitato il figlio di Raoul Casadei a cantare “Romagna mia”. Questo è l’omaggio al territorio più colpito dall’alluvione di un conduttore televisivo che ha saputo surfare le onde di qualsiasi cambio di governo senza mai essere travolto.

E ha fatto scuola: la folla festante ha accolto la cotonatissima, nonostante l’umidità, signora von der Leyen intonando l’inno delle balere romagnole.

Se non vivessimo in un mondo capovolto, in cui il falso viene spacciato a reti e testate unificate per vero, almeno i media avrebbero il compito di evitare le esondazioni retoriche sulle emergenze e sulle catastrofi del momento, dal Covid, alla guerra in Ucraina, fino alle alluvioni.

Si preoccuperebbero di indagare sulle cause e di richiedere risposte puntuali a chi amministra la cosa pubblica. Si impronterebbero i confronti sulla dialettica e si lascerebbe spazio al dubbio. Si eviterebbe di dare voce agli ayatollah del pensiero unico che promuovono con ogni mezzo l’idea dominante incuranti delle ragioni della logica e del buonsenso, oltre che della verità.

Si eviterebbe di infarcire ogni dibattito di guastatori specializzati nella derisione e nell’insulto nei confronti di chi non si omologa.

Se non vivessimo in un mondo capovolto si farebbe di tutto per evitare di trasformare Bonacini (presidente della regione Emilia Romagna) in una controfigura autoctona del presidente errante dell’Ucraina, una sorta di madonna pellegrina che appare in ogni consesso sciorinando il consueto repertorio finalizzato alla captatio benevolentiae. Un  mix in cui il vittimismo si intreccia con la granitica fiducia nella futura rinascita e con le puntuali richieste economiche.

Se non vivessimo in un mondo capovolto si chiederebbe a Bonacini e alla Schlein (ex vicepresidente e assessore con delega al Territorio) di spiegare i motivi del mancato impiego di oltre 52 milioni di euro destinati a opere di messa in sicurezza dei corsi d’acqua, inclusi quelli esondati.

Se non vivessimo in un mondo capovolto si chiederebbe conto a Giorgia Meloni dei tagli ai fondi destinati alle opere di prevenzione e salvaguardia del territorio. Nel caso delle alluvioni per esempio nel mese di dicembre 2022 il governo Meloni ha tagliato del 40% i già esigui fondi dell’Autorità distrettuale del bacino del Po, l’ente preposto alla gestione dei bacini idrici di quasi tutto il nord Italia.

Se non vivessimo in un mondo capovolto si chiederebbe conto agli amministratori pubblici cosa è stato fatto per evitare i disastri e le emergenze che ne conseguono. In tema di opere necessarie per prevenire le esondazioni dei corsi d’acqua per esempio va evidenziato che in Italia esistono pochissime casse o bacini di espansione.

Si tratta di aree appositamente destinate alla canalizzazione dell’eventuale espansione di un corso d’acqua. Vengono realizzate qualche chilometro prima dei centri abitati, in modo da evitare danni a persone e cose.

Come si è  potuto tragicamente constatare la Romagna pare che ne sia sprovvista, nonostante le buone intenzioni della signora Schlein che nel 2019, in qualità di assessore al Territorio, dichiarava: “Bisogna prevenire le esondazioni e ripulire gli alvei dei fiumi”.

Qualche chilometro più a sud la situazione non cambia.

Anche qui ci ha pensato la natura a mettere a nudo la miseria e l’inadeguatezza della classe politica.  A Pesaro, infatti, il fiume Foglia è straripato e ha sommerso l’area destinata dalla giunta comunale alla costruzione di un biolaboratorio BLS3 (un livello meno del tristemente noto laboratorio di Wuhan).

Non è un evento eccezionale. È la seconda volta in quattro mesi.

Quale amministratore pubblico dotato di buon senso potrebbe autorizzare la costruzione di un laboratorio biologico in cui si ingegnerizzano virus e batteri letali in un’area simile, nonostante le segnalazioni e le proteste?

Ancor prima che del dissesto idrogeologico forse bisognerebbe iniziare a occuparsi seriamente del dissesto (ideo)logico della nostra Nazione.

Di Marco Pozzi