25 aprile 2023, la realtà capovolta: chi ha compresso la libertà e decretato l'apartheid per i non vaccinati la celebra in piazza
Nei cortei sfilano fianco a fianco le bandiere della comunità ebraica e le bandiere dell'Ucraina accompagnate da slogan nazisti di Pravyj Sektor
“Buona parte dell’antifascismo di oggi, o almeno di quello che viene chiamato antifascismo, o è ingenuo e stupido o è pretestuoso e in malafede: perché dà battaglia o finge di dar battaglia a un fenomeno morto e sepolto, archeologico appunto, che non può più far paura a nessuno. È, insomma, un antifascismo di tutto comodo e di tutto riposo." Sono parole tratte da un’intervista a Pier Paolo Pasolini realizzata da Massimo Fini per “L’Europeo” il 26 dicembre 1974.
Parole quantomai profetiche e attualissime alla luce di quello che si è visto e sentito nei cortei per le celebrazioni della Liberazione.
Nel corteo di Milano le bandiere della NATO sventolavano accanto ai vessilli della brigata ebraica e alla bandiera dello stato di Israele. A Torino le bandiere della NATO hanno sfilato per tutta la durata del corteo insieme a quelle dello stato di Israele e a quelle dell’Ucraina accompagnate da un manipolo di invasati che scandiva gli slogan “Gloria all’Ucraina! Gloria agli eroi”. Non è uno slogan da tifosi della democrazia scandito contro gli autocrati, come si potrebbe ingenuamente pensare, è il grido di battaglia che identifica l’appartenenza al gruppo paramilitare neonazista ucraino Pravyj Sektor. Una lucida follia, un ossimoro visivo, il paradosso della rappresentazione plastica di un mondo capovolto il cui gli eredi dei deportati dai nazisti sfilano accanto agli eredi dei più crudeli fiancheggiatori nazisti inneggiando alla libertà. Del resto il terreno è stato arato e preparato per questo capovolgimento di senso da interventi come quello della signora Segre che si è lanciata in un ardito paragone: “il 25 aprile sarà difficile intonare Bella ciao senza rivolgere un pensiero agli ucraini che si sono svegliati e hanno trovato l’invasor”
Dal palco il sindaco di Milano ha affermato con fervore che “il valore universale di questa giornata, così sentita da 78 anni, è il farci entrare nel futuro con la forza della libertà e della democrazia.”
Sala ha parlato di “restrizioni drammatiche alle libertà, oppositori in galera o suicidati, massacri e orrori indicibili in guerre di predominio”.
Si riferiva naturalmente ai nemici della Libertà e della Democrazia, in primis alla Russia, che viene unanimemente dipinta dai monopolisti dell’ortodossia della democrazia come il male supremo.
In realtà le parole del sindaco di Milano avrebbero potuto essere utilizzate senza alcuna esitazione per stigmatizzare l’operato degli USA e della NATO. Per l’uso spropositato della forza militare e delle invasioni di stati sovrani, per la fatwa che perseguita Julian Assange, per i milioni di morti innocenti lasciati sul campo dagli eserciti dei missionari della democrazia in Afghanistan, in Libia, in Iraq, in Siria, per citarne solo una piccola parte.
Mentre sfilava nel corteo di Milano Elly Schlein ha definito “il diritto al lavoro, il diritto alla salute, il diritto allo studio e la lotta alle diseguaglianze e per la Libertà” una priorità per il suo partito. Lo stesso partito che, più di ogni altro, ha imposto restrizioni e limitazioni alla libertà individuale, ha osannato i lockdown e il Green Pass, ha chiuso gli occhi e perfino gioito sadicamente davanti alla barbarie dell’apartheid, davanti ai bambini a cui era impedito di salire sui mezzi pubblici e di praticare sport, davanti agli ultracinquantenni a cui non era consentito lavorare, viaggiare, vivere. Un partito che ha rivendicato l’operato di Draghi e Speranza.
Un partito che ha avallato la più subdola delle truffe basata sul baratto dei diritti.
Per essere liberi abbiamo rinunciato alla Libertà.
Per essere democratici abbiamo rinunciato alla Democrazia.
Viviamo di fatto in un’epoca di paradossi e cortocircuiti logici, immersi in quello che Alain De Benoist definisce “Liberalismo autoritario”, un sistema economico e politico estremamente liberale ma allo stesso tempo orientato a comprimere le libertà del popolo, per impedire che il popolo possa esprimersi liberamente e per governare di fatto senza il popolo.
Come afferma Pasolini “esiste oggi una forma di antifascismo archeologico che è poi un buon pretesto per procurarsi una patente di antifascismo reale. Si tratta di un antifascismo facile che ha per oggetto e obiettivo un fascismo arcaico che non esiste più e che non esisterà mai più.”
Per questo fa orrore il gioco delle parti a uso e consumo della propaganda.
Da un lato gli eredi politici del fascismo che per opportunismo strizzano l’occhio alla storica base elettorale fingendo una continuità che odora di stantio ed è incredibile agli occhi di chi analizza lucidamente il presente. Dall’altro l’antifascismo di maniera di chi si presta a comprimere senza remore la democrazia per servilismo ai diktat delle élite finanziarie
Per fortuna sul palco di Milano c’era Gianfranco Pagliarulo, il presidente nazionale dell’ANPI. È parso un alieno in un consesso di fedeli seguaci della chiesa filoatlantista. Ha chiesto con fermezza di “lasciare spazio alla democrazia, non alla propaganda di guerra”, ha respinto al mittente il paragone tra la Resistenza italiana e quella di Kiev e ha citato i poteri oscuri che hanno condizionato la storia del nostro Paese, da piazza Fontana in poi, impedendo di fatto che diventasse una Nazione. Libera.
Di Marco Pozzi