Napoli assediata per una partita di calcio: non eravamo nell'epoca dell'inclusione sentimentale?

Una cosa è il sogno con le sue ideologie, le teorie, gli asterischi e le rimozioni forzate; un'altra la realtà col suo carico di violenze, di scontri atavici, di barbarie che nessuno ha voglia di sradicare davvero

Il sogno e la realtà. Il sogno è quello della miriade di parole, di prescrizioni, di asterischi, di agende per rendere il mondo un posto da sogno, innocuo, inclusivo, tutti che si amano e nessuno che si offende, nessuna aggressione, nessun sopruso, le guerre cancellate, le caricature abolite, lo stesso senso dell'umorismo e del ridicolo annientato. Il sogno è quella dirigente d'asilo che in Versilia abolisce la festa del papà perché non inclusiva e annuncia, in sindacalese, “tavoli allargati di confronto per trovare soluzioni altre con laboratori veramente onnicomprensivi che non escludano nessuno”. Gli orfani? Quelli coi genitori distratti? Non si sa, non lo sa neanche la dirigente, non sa cosa fa e perché lo fa, ma lo fa. La realtà è la città di Napoli in assedio per una partita di calcio. A leggere le cronache non ci si crede: presidiato tutto il territorio metropolitano, a partire dalla zona dello stadio ma a cerchi concentrici uno attorno all'altro fino in periferia, centinaia di agenti antisommossa, controlli nelle stazioni dei treni, all'aeroporto, all'uscita dell'autostrada, massima allerta al Maradona, già San Paolo, nel centro storico, nei punti nevralgici; si temono: infiltrazioni degli anarchici, della camorra, di schegge impazzite, della tifoseria più violenta. Dall'altra parte calano, vestiti di nero come in una saga medievale, i tifosi dell'Eintracht, ufficialmente 400 ma con diversi pullman in arrivo, disposti in falange, che intonano lugubri canti di battaglia: per non sbagliare hanno già saccheggiato e vandalizzato a caso. Forse hanno sbagliato città perché i napoletani per tradizione non sono teneri. Volano fumogeni, sassi, bottiglie e siamo ad ore prima della partita, sono allertati i prontosoccorso degli ospedali e le stazioni di intervento da campo.

Non si capisce bene da dove derivi questa smania guerriera, forse è solo l'onda lunga della tradizione bellicista nello sport, per ogni trasferta, per ogni incontro andare con le mazze chiodate e le pistole, far capire che nel tempo dell'inclusione globale restiamo diversi, ancorati ai nostri usi e tradizioni che magari sono tradizioni violente, pericolose. Il sogno è l'abbattimento delle frontiere di ogni genere, territoriali, sessuali, legate al gusto e alla tecnica, la realtà sono gli scontri dei bruti, presociali, atavici. Dice un dirigente della squadra tedesca: potremmo entrare allo stadio come e quando vogliamo, fottendocene delle leggi, abbiamo scelto di consegnare tutti i biglietti; se mai passeremo, lo faremo da illegali, da ribelli. Perquisizioni, sequestri, verifiche, blocchi stradali ma il dirigente dice a suo modo la verità: non esiste ideologia né normativa che possa impedire a un'orda di penetrare e a due fazioni contrapposte di darsi battaglia massacrandosi.

L'Europa dei popoli, delle patrie confluite in un'unica patria? Come no. Oggi come ieri come sempre un'occasione di divertimento, una sfida calcistica è l'occasione per dividersi nell'odio, per fare carne morta dell'altro. La sottocultura del politicamente corretto punta a cancellare la memoria storica, ma la storia dello sport criminale è infinita e non passa. I tifosi del Cagliari invadono gli spogliatoi e i giocatori abbassano la testa (incredula la vecchia gloria Roberto Boninsegna: “Ai nostri tempi, con me, Riva e gli altri, li avremmo presi a calci in culo: i tifosi facciano i tifosi e non rompano le balle”). L'Atalanta calcio “perdona” i suoi ultras violenti perché “si sono pentiti”: tutti ai servizi sociali. Il pallone riposa sul segreto di Pulcinella della connivenza fra club e malavita organizzata: le squadre e, per estensione, l'intero mondo pallonaro è ostaggio di criminali con la sciarpa e la spranga, come è emerso dalle recenti indagini sulle disinvolture contabili juventine. Ma accusare la sola Juventus sarebbe peggio che ipocrita, non c'è società sportiva che si salvi, nemmeno quelle amatoriali. A casa di un milanista hanno trovato bombe e fucili automatici, armi da guerra, a Napoli, anni fa, il capo della tifoseria, camorrista riconosciuto e rispettato, riuscì a fermare una partita per un suo personale capriccio. Osservava Sandro Mazzola nel 2015: “In Inghilterra erano messi peggio, un mix di tolleranza zero e modernità strutturale ha risolto: oggi allo stadio ci vanno le famiglie coi bambini; noi siamo fermi alla guerriglia, perché non c'è la volontà politica”. Nel frattempo, anche in Inghilterra sono ricominciate le escandescenze da curva. “A me quando ho cominciato a denunciare la complicità, mi venivano sotto casa”, racconta il Baffo dell'Inter. E lui cosa ha fatto? “Sono andato alla polizia, mi hanno detto che mi capivano, qualcuno mi ha anche chiesto l'autografo, poi mi hanno consigliato di non uscire da casa e stare attento quando rientravo”. Ma all'epoca non c'era ancora il buonismo ideologico e la polizia era quella, sbruffona e a volte truce, degli anni Settanta, totalmente immersa nello zeitgeist. Oggi all'insegna dell'inclusione sentimentale riscrivono i libri per ragazzi, i cartoni animati ma la voglia di sopprimersi non passa anzi peggiora. Il sogno sono le calzette arcobaleno del sindaco milanese Sala, che vuol ripulire la città vietando le macchine e obbligando le poche che restano ai 30 all'ora. La realtà sono le città di guerra in tempo di pace per una partita e ogni settimana dopo ogni partita si contano i danni e i caduti. Il sogno è l'alibi, la realtà è la realtà.