Selene Ticchi, indossò la maglietta "Auschwitzland" a Predappio: assolta perché non è reato
Forlì, per il tribunale indossarla non viola la legge Mancino. L’ex esponente di Forza Nuova l’aveva esibita al raduno di Predappio nel 2018
Assolta perché "non costituisce" reato. È questa la decisione del Tribunale di Forlì in merito a Selene Ticchi e alla sua maglia con su la scritta "Auschwitzland" esibita a Predappio nel 2018, che tanto creò scalpore. La t-shirt raffigurava il campo di concentramento che prende il posto dell'iconico parco divertimenti a Parigi, ed il gioco di parole di facile intuizione. Era il 28 ottobre di quell'anno quando l'ex esponente di Forza Nuova si presentò al raduno dei nostalgici del duce a Predappio. La donna era stata accusata da più parti di fare apologia del nazismo, ma i giudici la pensano diversamente.
Selene Ticchi, non è reato indossare la maglia "Auschwitzland": assolta
Selene Ticchi che oggi milita nel Movimento nazionale rete dei patrioti, finì a processo con l'accusa di aver violato la legge Mancino. Per lei, la richiesta della Procura era quella di una condanna a nove mesi e 600 euro di multa. Ticchi, difesa dal marito, l'avvocato Daniele D’Urso ha dichiarato: "Siamo felici e soddisfatti". Per la difesa la maglietta era una protesta "contro chi lucra su luoghi dove sono avvenute tragedie, non solo Auschwitz". L’Anpi (Associazione nazionale partigiani) si era costituita parte civile, mentre le motivazioni dei giudici che l'hanno assolta arriveranno tra due settimane.
La donna consegnò le sue scuse già all'epoca dei fatti, quando intervistata in merito all'episodio aveva fatto un passo indietro: "Lo so, purtroppo ho sbagliato e ne chiedo scusa. Per problemi familiari sto vivendo un brutto periodo e non ho fatto caso a quale maglietta stavo indossando per partecipare al corteo", spiegò al giornalista che l’intervistava.
Cosa prevede la Legge Mancino
Selene Ticchi è stata condannata dopo essere stata accusata di aver violato la Legge Mancino. Questa, in vigore dal 1993 sanziona e condanna frasi, gesti, azioni e slogan aventi per scopo l’incitamento all’odio, l’incitamento alla violenza, la discriminazione e la violenza per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali.
Prende il nome dall'allora Ministro dell'Interno Nicola Mancino che ne fu proponente e punisce fino a un anno e sei mesi di reclusione o con la multa fino a 6.000 euro chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico. La Lega ha proposto un referendum nel 2014 per abrogarla definendola "liberticida". Diversi critici la pensano come gli esponenti del Carroccio e spiegano che sarebbe incostituzionale in quanto in contrasto con l'art. 21 della Costituzione, che garantisce la libertà di manifestazione del pensiero.