Renato Vallanzasca, l'ultimo ergastolano: a 72 anni, 50 dei quali in galera, non gli danno i benefici di legge: solo a lui, però
Bandito spietato, nessuno lo contesta: ma di un'altra epoca, mezzo secolo fa. Tutti gli altri, dai mafiosi ai terroristi, non furono meno infami. Eppure l'ergastolo non lo fa nessuno. Perché avevano merce da scambiare con lo stato.
Perdonate la madeleine criminale, se vi pare, ma c'è a chi il nome impronunciabile, Vallanzasca, riporta profumi tossici e seducenti dalla metropoli che non è più. Brigante, assassino spietato, nessuno lo contesta, nessuno lo giustifica in nulla, ma di quelli che usavano nella Milano dei Sessanta e dei Settanta, 160 omicidi all'anno, uno ogni due giorni, adesso sono meno di dieci. Renato Vallanzasca, detto il bel René, o anche il bandito della Comasina, in realtà si è formato in un altro quartiere, Lambrate, che poi era anche quello di chi scrive. La carriera la intraprende a 8 anni, liberando gli animali del Circo Medrano: lo portano ai Corrigendi, ma serve a niente: c'è chi nasce medico e chi artista, io sono nato ladro diceva lui, capace di amare e di ammazzare con la stessa naturalezza. La madre aveva una merceria in via Porpora, a Lambrate dove si serviva anche la mia: c'era sempre la polizia nei paraggi, anche se il famigerato figlio ovviamente uccel di bosco. Ma sapevano dell'amore viscerale per quella madre, nella la pellicola comica Fracchia e la Belva Umana, Fantozzi ricalcò il personaggio della Belva proprio su di lui su quel legame quasi irrazionale.
Anche Lambrate all'epoca era irrazionale, per non dire folle: c'era la qualunque, neofascisti, brigatisti, spioni, sbirri, e briganti di passo Vallanzasca, legato un po' a tutti ma sempre individualista nella sua criminalità. Se io dico faccio nomi come il Ragno d'Oro, o il Derby, quasi nessuno capisce, ma se hai la mia età, se viaggi intorno ai 60, allora capisci tutto. Comici e omicidi, boss e cabaret, Rivera e Mazzola, nebbioni da maledetti e raffiche dalla nebbia, viali di uno squallore indicibili, cortei di gente incazzata a ondate, spranghe e lame, ogni sabato una vittima, poi ogni giorno, la follia dei terrorismi contrapposti e il furore del derby a San Siro, il gran correre dell'immondo formicaio dove ciascuno si perde per traffici, giri loschi, miserie quotidiane, puttane di strada e pensioni simenoniane, barboni e riccastri in pelliccia di coniglio, la municipalità come stendardo sui tram, le giunte di centrosinistra, tronfie ma non del tutto a torto, “El nost Milan el va”, ma dove va non si capisce, le cronache illuminanti di Giorgio Bocca, i Natali d'oro che oggi a raccontarli non ci cavi niente, Milano come la Mecca, la processione infinita di gente che entra ed esce dalle boutique, le gioiellerie, le Rinascente, Standa, Upim sommersa di pacchi, luci a spreco, quello sì era “un gran Milan”, nel bene e nel crimine. Fuori dal Ragno le macchine dei picciotti armati, se giravi lì intorno, se non gli piacevi, tiravano fuori il cannone senza parlare e tu capivi, te ne andavi. Regnavano Turatello e il vice Ugo Bossi con la cui testa poi Vallanzasca si sarebbe divertito a giocare a pallone in galera. Dentro e fuori, dentro e fuori, e ogni volta Milano la ritrovava diversa, “non meglio o peggio, è solo che non la riconosco”. Per forza, la metropoli cambiava sempre, vorticosamente, lui no: quella mente contorta, ma pratica, tipica delle personalità disturbate, che se una cosa è impossibile loro la fanno perché la fanno e non pensano alle conseguenze, alla riprovazione, non pensano a niente e la fanno. Una volta in nave svita i bulloni e si scava un pertugio da cui fugge; un'altra, si procura una intossicazione con uova marce che gli causano la salmonellosi, così evade, marcio e malandato. Colpi, regolamenti di conti, pistolettate e bagliori di lama: un incubo perché Vallanzasca, scapigliato e bello come una rockstar, o un antieroe dei fumetti, trova sempre modo di filarsela magari seducendo qualche secondina o poliziotta. Fino al 1981 quando lo ingabbiano definitivamente e non esce più. Quarant'anni dentro con brevi periodi di semilibertà regolarmente traditi e quindi puniti: ma dietro le sbarre c'è stato complessivamente mezzo secolo sui 72 anni vissuti. E ancora il Tribunale di sorveglianza gli nega la libertà: non si è ravveduto, dicono. Ma che è, questa Giustizia moralistica che vuole educare un vecchio delinquente ultrasettantenne, che affibbia 18 mesi di galera a uno per una manata volante sul culo di una influencer che si diletta di giornalismo? È ancora pericoloso, dicono. Ma come può essere pericoloso un anziano, malandato, corroso, fuori dai giri criminali da 40 anni?
Ci siamo anche scritti, anni fa, volevo intervistarlo in carcere, a Bollate e lui mi rispose subito, la lettera finiva così: “Con una stretta di mano, Renato”. Poi non se ne fece niente per qualche intralcio. Poco tempo dopo, Vallanzasca in permesso si faceva pescare con addosso della roba in un supermercato di viale Umbria, una cosa umiliante: lo fermano con addosso due paia di mutande e uno di cesoie, gli imputano una rapina e la resistenza a pubblico ufficiale perché all'agente che lo stuzzica, “per chi erano quelle mutande, Vallanzasca?” il bandito impenitente risponde: “Per tua sorella”. Per questo, uno è ancora pericoloso?
Da allora non è uscito più. Niente benefici, niente lavoro esterno, il Tribunale di Sorveglianza scarcera a ripetizione uno come Corona, 3 condanne definitive, continue recidive, 73 capi d'imputazione, uno che appena esce, “per andarsi a curare”, siccome è cocainomane, il che, chissà come, fornirebbe una attenuante, per prima cosa va a far casino in qualche locale o televisione e il giudice di sorveglianza, comprensivo, un po' lo reingabbia ma poi subito lo lascia andare verso nuove balordaggini, sempre quelle. Ma con Vallanzasca è inflessibile e addirittura la Cassazione lo asseconda sfoderando accenti improbabilmente paternalistici: i comportamenti non dimostrano “il definitivo ripudio del passato stile di vita e l’irreversibile accettazione di modelli di condotta normativamente e socialmente conformi”. Succedeva un anno fa. Da allora, le condizioni dell'ultimo ergastolano sono peggiorate.
Ma che cazzo dovrebbe ancora ripudiare un nato ladro, che non è più niente, al massimo folklore criminale di un'epoca in grigio e nero? La verità è che sul Corona c'è un movimento di anime belle, di garantisti pelosissimi i quali dicono: non ha fatto male a nessuno. Sorvolando sul complesso dei reati, tra cui le bancarotte sulle quali certi Torquemada sono, viceversa, inflessibili. A seconda di chi le ha fatte. Ma c'è chi insinua: Corona ha un archivio molto fornito, “se lo vuoto” - dice il sedicente fotografo dei vip – “in molti mi seguono”. Per non parlare di altri ergastolani che l'ergastolo l'hanno elegantemente bypassato: brigatisti rossi, terroristi neri. Sergio D'Elia, ex Prima Linea, fu perfino nominato da Bertinotti segretario d'aula alla Camera dei Deputati: uno schifo. La Susanna Ronconi, il compagno deputato Ferrero voleva metterla alla Prevenzione con umorismo tutto comunista; Moretti, il capo brigatista, ha 7 ergastoli ma dopo 12 anni ha cominciato a uscire, ad andare all'opera, alla Scala, adesso in galera ci torna sì e no per dormire. Adriana Faranda, altra brigatista di spicco, è diventata fotografa di moda per il Corriere della Sera e altre testate italiane e francesi. La coppia nera, Mambro-Fioravanti, condannata per un romanzo criminale infinito tra cui la strage di Bologna, è libera da anni. Ma i due terroristi fascisti, così come il compare comunista D'Elia, avevano dietro la lobby di “Nessuno tocchi Caino” guidata dalla immancabile Emma Bonino. Quanto a Faranda e all'ex compagno Valerio Morucci, sono stati premiati dai Servizi Segreti dopo aver confezionato un “Memoriale Moro” denso di bugie dalla prima all'ultima riga di ogni pagina, verità di stato, che fa comodo a molti ancora oggi. Fra i brigatisti pluriomicidi, non ce n'è uno che non abbia goduto dell'amnistia venuta “a tutto lavare, tutto obliare”, come aveva previsto Mino Pecorelli. Dei latitanti parigini abbiamo constatato una volta di più l'intoccabilità, sotto qualsiasi governo e Guardasigilli, nonché i furori dei vecchi sodali per lasciarli tranquilli dove stanno.
Solo il bandito Vallanzasca, per la morale pubblica e per quella dei magistrati, deve marcire dentro anche se ha pubblicamente abiurato a una vita che ormai è morta, che dista di parecchie vite dalla sua condizione attuale: quella di un anziano ammalato, da 40 anni di seguito recluso. Nessun garantista per lui, nessuna voce, neanche del più elementare buon senso, se non senso di pietà. Perché? Ma è chiaro: non ha merce di scambio, non ha segreti con cui barattare il trattamento di favore, niente archivi, fotografici o documentali, da passare alle manine giuste. I suoi, di segreti, sono morti con le sue gesta criminali, con i complici e le vittime. Anche i mafiosi più sanguinari a un certo punto escono barattando qualche retroscena imbarazzante, che lo Stato conosce benissimo e vuol tenere coperto. Giovanni Brusca, che, tra cento altri omicidi, premette il dispositivo per far saltare in aria Falcone e la scorta sotto 600 chili di tritolo, e che sciolse nell'acido il piccolo Giuseppe di Matteo, 12 anni, figlio del boss rivale Santino, si è fatto la metà degli anni di Vallanzasca e adesso versa libero e ignoto in qualche località sconosciuta.
L'unico a scontare fino in fondo l'ergastolo, come Cagliostro alla rocca di San Leo, è il balordo di Lambrate. Vallanzasca è stato un delinquente spietato e se la dovrà vedere col suo Dio; altri non sono stati meno infami, ma le ragioni ideologiche sono loro valse un incredibile salvacondotto morale fondato sulla reciproca omertà, quella loro e l'altra dello Stato. La legge sarà anche uguale per tutti, ma i Caino no, non lo sono. Mai. E tu lettore, perdona se puoi questo sfogo da cronista ormai vecchio, anche lui, che non sa se sta scrivendo per motivi umanitari, nostalgici o arteriosclerotici: è solo che l'idea di uno solo, un vecchio mascalzone sopravvissuto a se stesso che paga ancora per tutti, a differenza di tutti, per dura lex della morale, eh beh, le palle le un po' fa girare, e come se le fa girare.