"La grande narrazione" di Klaus Schwab: il sogno di un mondo unipolare

Dopo averci illustrato le straordinarie opportunità offerte dal Great Reset post pandemico e averci mostrato il mirabolante scenario che la quarta rivoluzione industriale dispiegherà per favorire le magnifiche sorti progressive dell’umanità, il fondatore del WEF si concentra sulla centralità della narrazione.                         

La narrazione dei fatti si è sostituita ai fatti stessi.                                                     

In modo progressivo è stato applicato un sofisticato sistema che ha eroso ogni margine alla ragione e alla logica, rendendo di fatto impossibile il dubbio e, peggio, la verifica.         

L’obiettivo dichiarato è quello di imporre definitivamente un’unica narrazione globale. Non a caso l’ultimo saggio di Klaus Schwab, firmato insieme a Thierry Malleret si intitola “La grande narrazione”.                                                           

Dopo averci illustrato le straordinarie opportunità offerte dal Great Reset post pandemico e averci mostrato il mirabolante scenario che la quarta rivoluzione industriale dispiegherà per favorire le magnifiche sorti progressive dell’umanità, il fondatore del WEF si concentra sulla centralità della narrazione.                         

Per realizzare la società e il mondo globale che sognano, per perseguire l’obiettivo di costruire un mondo nuovo, anzi, un nuovo ordine mondiale, per Schwab e Malleret è fondamentale infatti costruire e promuovere (in realtà imporre) una narrazione unica, universalmente accettata e metabolizzata: “ora sta emergendo un nuovo mondo i cui contorni saranno in gran parte definiti dai discorsi che si svilupperanno per tracciare la strada da seguire.”                                           

Schwab conosce bene la teoria di Robert Schiller, il padre della “finanza comportamentale” e della “narrative economics”. Il professor Schiller collega infatti le narrazioni alle decisioni che si assumono: ”Il cervello umano è sempre stato perfettamente in sintonia con le narrazioni, siano esse basate o meno sui fatti, per giustificare le azioni in corso”.

Mai come in questi ultimi tre anni il sistema narrativo caldeggiato da Schwab ha dispiegato tutta la propria potenza.  A partire dalla narrazione sul Covid 19.            

Si è assistito all’imposizione di un’unica narrazione in cui si è agito, fin dall’inizio per orientare l’opinione pubblica in una direzione precisa, partendo dalle parole.         

Si è  modificato il significato delle parole trasformando un farmaco sperimentale in un vaccino e promuovendo allo stesso tempo una campagna di “immunizzazione” con un prodotto mai testato rispetto alla capacità di immunizzare.                           Lo stesso metodo è stato imposto, con una violenza ideologica senza precedenti, rispetto alla narrazione sulla guerra tra Russia e Ucraina. Poi lo si è applicato alla crisi climatica e alla crisi energetica.                                                               

Chiunque provi a mettere in evidenza l’incongruenza tra l’invio di armi a Kiev e il raggiungimento della pace viene subito zittito, censurato e additato come un pericoloso criminale ideologico che parteggia per l’invasore.                           

Peggio ancora se osa mettere in dubbio il racconto di fatti platealmente manipolati e di realtà completamente rovesciate, dai bombardamenti sulla centrale nucleare di Zaporizha a quelli quotidiani su obiettivi civili a Donetsk, dal nazifascismo del battaglione Azov alla totale assenza di democrazia in Ucraina, fino all’insensatezza delle sanzioni che finiscono per colpire duramente l’Europa distruggendone il sistema economico e sociale, in primis in Germania e in Italia.

Su questo tema si è espresso più volte in modo efficacissimo Jeffrey Sachs, professore alla Columbia University, direttore della Rete delle soluzioni per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. In passato Sachs è stato anche consigliere speciale di tre segretari generali delle Nazioni Unite.                                               

“Il mondo è sull'orlo di una catastrofe nucleare in gran parte a causa dell'incapacità dei leader politici occidentali di essere onesti e chiari sulle cause dell'escalation dei conflitti globali. L'incessante narrazione occidentale secondo cui l'Occidente è nobile mentre la Russia e la Cina sono malvagie è semplicistica e straordinariamente pericolosa. È un tentativo di manipolare l'opinione pubblica.                                                     

La narrazione dell'Occidente è subalterna alla strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti”.     

Come si può essere così ciechi da accogliere come Verità la narrazione voluta dagli USA? Quale erosione dell’intelligenza e della coscienza, quale cambiamento antropologico è avvenuto in modo silenzioso e progressivo per credere che gli USA siano davvero la culla della democrazia?                                                              

Una confederazione di stati che conta più armi che abitanti.                                 

Una confederazione di stati che che dal 1980 ha partecipato a quindici guerre (Afghanistan, Iraq, Libia, Serbia, Siria,Yemen, ecc.).                                             

Una confederazione di stati che ha invaso tra gli altri uno stato, l’Afghanistan per “esportare la democrazia” e lo ha abbandonato, dopo vent’anni, nelle mani dei talebani, senza preoccuparsi delle conseguenze per il popolo afgano.                  Una confederazione di stati che perseguita Julian Assange e, allo stesso tempo, concede l’immunità diplomatica al principe ereditario Mohammad bin Salman per l’omicidio di Jamal Kashoggi, giornalista del Washington Post eliminato da uno squadrone della morte per le sue critiche contro il regime di Ryad.

Questa subalternità si traduce in un totale asservimento agli interessi USA e alla rinuncia di ogni affermazione identitaria. L’identità è infatti la prima delle aspettative deluse, come sottolinea Marcello Veneziani nel suo ultimo saggio “Scontenti”.

Alla base della scontentezza c’è il fatto che ogni persona e ogni popolo hanno bisogno di definire la propria identità, di sentirsi legati a qualcosa e a qualcuno mentre invece il nuovo mondo propugnato da Schwab ripudia ogni legame identitario e spinge anzi a considerarlo un motivo di arretratezza di cui vergognarsi.

Ci sono, in realtà, identità che vengono ammesse, specie se fluide, e altre che vengono rimosse perché sono dipinte come retaggi arcaici da cui liberarsi.            

La società promossa dalla narrazione unica propugnata da Schwab è una società aliena all’umanità. Una società in cui la persona viene trasformata in una monade che galleggia in uno spazio culturale e sociale liquido. Una società in cui è possibile attuare un cambio di paradigma antropologico: l’uomo non deve più vivere ma funzionare. Una società in cui la scienza e la tecnica vengono elevati a divinità immortali.

Schwab sa bene che, nonostante la sproporzione di forze in campo, la partita è molto difficile, che sacche di intelligenza e di resistenza hanno eretto baluardi contro la narrazione unica che conduce al transumano.                                           

Lo afferma chiaramente nella premessa del suo nuovo saggio: “L’epilogo della saga umana dipenderà da quale narrazione prevarrà”.

Di Marco Pozzi