L'Italia non si merita la campionessa woke Paola Egonu; ma Paola Egonu si merita la Turchia?

Ormai il primo che si alza può dire “sono vittima di razzismo” e siamo tenuti a credergli (e a flagellarci, tutti). Anche se non sa spiegare chi, come, dove e quando lo avrebbe mortificato. E se le sue ragioni affondano in plurime ipocrisie. Ma il vangelo di chi non digerisce altra narrazione, cioè potere, che il proprio, impedisce qualsiasi obiezione.

Dopo il delirio, c'è il patetico: la favola di Paola Egonu, la spilungona pallavolista, è costellata di nonsensi, di assurdità, di bugie che nessuno vuole mettere in chiaro e che continuano a tenere banco, a falsare ogni realtà. La prima distorsione è sulle parole dell'interessata, questa Madonna pellegrina del vittimismo social: dopo avere sbagliato una semifinale contro il Brasile, a botte di schiacciate contro i cartelloni pubblicitari, dà i numeri con l'allenatore: “Non ne posso più, sono stanca, mi hanno anche chiesto se fossi italiana, io basta, me non ci sto più, questa è l'ultima partita che faccio”. Farneticazioni senza senso, da una ragazza dopata di notorietà: ma vengono prese come il Verbo divino: ah, come osano, siamo un paese razzista, facciamo schifo, non ce la meritiamo questo “patrimonio dell'umanità” (si è letto anche questo). Fioccano le “scuse”, la politica intera si prostra davanti alla divinità Egonu, l'eterno premier uscente, che non esce mai, le telefona, le scrive contrito: per cosa? Per chi? Nessuno che osi porre le domande più semplici, più doverose: scusa, Paola, dove starebbe il razzismo se uno ti chiede se sei italiana? E in ogni caso, chi è stato, quando, come, dove?

Niente: Egonu, la martire, non sa spiegare, “Non ho idea di chi me l'abbia chiesto” e poi, come Mina: “non gioco più, me ne vado”. Salvo rimangiarselo mezz'ora dopo. Però la butta sul vittimismo strategico, ciò che non par vero alla sinistra sconfitta: Meloni, La Russa, Fontana, vergognatevi. Egonu come Rosa Park, discriminata, “violentata dentro”. Lei? Resa una star grazie al sistema sportivo-mediatico-industriale? Lei, che può permettersi di dare delle merde a tutti perchè un barista malcreato a Padova, udite udite, serve un caffè freddo, a sua madre? Lei, che sulle sue preferenze erotiche ci marcia dall'inizio? L'acre profumo della montatura è penetrante, che nello spogliatoio poco e male sopportino una che tutto pretende, anche di fare la formazione, le sue pose, le sue lagne, è talmente risaputo che non lo negano neppure all'interno della Federazione; ed è questa la vera ragione, una almeno, dello sbrocco strategico.

L'altra è la solita commedia da influencer, frignarsi addosso per ottenere di più: “In Italia non gioco più, basta, ingrati” e subito spunta la trattativa, sfociata felicemente in contratto, con una squadra Turca al modico ingaggio da un milione di euro: a salire nelle stagioni a venire.

Dopodiché si scopre ad maiora quanto segue: a rivolgere la domanda empia, blasfema a Nostra Signora della Pallavolo sarebbe stato un giornalista brasiliano in vena di provocazioni, altro che italiani razzisti: non è il caso di rimangiarsi accuse e scenate? Ma vai: come se niente fosse, la narrazione si è imposta e non è il caso di toccarla, tanto più che si è perfettamente dilatata a macchia d'olio: forse gelosa per la solidarietà raccattata, da una Boldrini a un Draghi, fino a un Letta che, per non sbagliare, sbaglia persino il nome (“Nessuno tocchi Paola Enogu”), spunta subito un'altra atleta colored, la velocista Zaynab Dosso, con un aneddoto ancor più surreale: accaduto tempo fa, ma cavato dal cappello solo adesso, in occasione del cambio di regime: “Mi hanno dato della puttana negra e nessuno mi ha difeso, non mi sento tutelata”. Ah, ecco, ci voleva la scorta; e chi sarebbe stato a scadere così in basso? “Una mendicante a cui avevo rifiutato l'elemosina”. Ma era italiana almeno la clochard? “E io che ne so”.

E siamo già oltre il delirio e oltre il patetico, siamo alla farsa. Ma torniamo a Egonu, Paola Egonu, colei che, nietzchianamente, è arrivata ad essere chi è. Accade che la divina abbia tutte le carte in regola della woke culture: nera, ricca, giovane, lesbica o quanto meno “non binaria”; e dove va a giocare, siccome in Italia, paese notoriamente di razzismo endemico, non ce la fa più? In Turchia. Allora peschiamo dal sito dell'Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa, non una qualche fonte sovranista per definizione inattendibile: “A fine giugno, Istanbul ha celebrato il suo annuale LGBTI+ Pride all'ombra dell'intensa repressione della polizia, in linea della crescente intolleranza del governo turco per qualsiasi forma di espressione LGBTI+, dalle manifestazioni ai media”. E ancora: “Ben 373 persone sono state prese in custodia dalla polizia durante la marcia e hanno trascorso ore senza cibo né acqua prima di essere rilasciate la mattina del 26 giugno. Tra il 2015 [ultimo anno in cui si potè celebrare un Gay Pride libero] e il 2021 erano state in totale 103 (…). Secondo un rapporto 2022 dell'Associazione internazionale di lesbiche, gay, bisessuali, trans e intersessuali, la Turchia è penultima tra i paesi europei in termini di diritti LGBTI+”.

C'è molto di più e di peggio, ma la chiudiamo qui. A questo punto, la divina Egonu ha poche alternative: o si riconverte all'eterosessualità più ortodossa; o piangerà molto nella sua permanenza turca, almeno quanto tacerà. Perché in quell'illuminato e tollerante paese, difficilmente potrà ottenere l'attenzione e la santificazione riscossa nell'Italia reazionaria per le sue attitudini sessuali, sbandierate ogni volta che conviene. D'altra parte, pare assai improbabile che l'esosa pallavolista sia disposta a buttare nel cesso i milioni che la attendono in cambio di una galera turca per essersi esposta sui leggendari “diritti”. Anche di questo si dovrebbe chiedere conto alla divina Egonu, ma, va da sè, nessuno oserà: vorrai mica farla piangere un altro po'. Piangere e fottere è ricetta antica, che non tradisce mai.