Alluvione Marche, opere non fatte e cittadini non informati. ESCLUSIVO

L’esperto di rischio idrogeologico Fernando Nardi racconta a Il Giornale Italia: “Basta dare la colpa ai cambiamenti climatici, servono opere straordinarie e azioni concrete per preparare i comuni e i cittadini. La bomba d’acqua è in mano a chi non ha messo in sicurezza territorio e cittadini”

“Assolutamente non negare l’importanza dei cambiamenti climatici - che diventino nell’agenda del governo il perno di un processo di accelerazione tecnologica e culturale per la nostra sicurezza - ma basta dare la colpa solo ai cambiamenti climatici quando le cause sono le opere non realizzate e la mancanza di azioni concrete per preparare i cittadini a questi eventi eccezionali. Per eventi frequenti è abbastanza efficiente il lavoro che le amministrazioni competenti effettuano per l’ordinaria amministrazione e gestione delle piene, ma per eventi come quello del 15 settembre che ha colpito le Marche servono misure ed opere straordinarie.”, così esordisce Fernando Nardi prima di raccontarci quanto avvenuto pochi giorni fa nelle Marche.

Queste misure straordinarie in Italia si effettuano sempre a danni e morti avvenuti. Si pensi all’opera di messa in sicurezza idraulica di Genova, lo scolmatore del torrente Bisagno. Anche gli interventi sul Misa nelle Marche erano già stati individuati negli anni ‘80 ma i lavori risultano fermi ed inattuati da anni. Sicuramente i lavori verranno effettuati appena terminati i funerali. Così è stato per il disastro di Sarno, così per le alluvioni a Genova e così si teme che faranno ancora ed ancora per i prossimi eventi calamitosi.

Nessuno vuole negare l’importanza e l’impatto dei cambiamenti climatici per le nostre vite, argomento fondamentale per la politica di sicurezza per il nostro presente e per il nostro futuro, ma dare la colpa ai cambiamenti climatici è la risposta più facile di chi il problema lo conosce, ma non lo vuole risolvere; è come dire che il problema è di qualcun’altro. Abbiamo costruito case a pochi metri da corsi d’acqua sapendo che la zona era stata oggetto di un’inondazione pochi anni prima e vogliamo dare la colpa all’impatto sul clima della crescita demografica in India e Cina?

Il problema e le cause dei devastanti effetti del rischio idrogeologico sono sotto i nostri piedi, davanti ai nostri occhi, e purtroppo sono molteplici. Il problema sono le case costruite lungo le aree golenali dei fiumi, a volte dentro il letto del fiume; fatto e conosciuto il danno oramai effettuato, il problema si sposta sulle opere di messa in sicurezza non realizzate. Il problema è anche la mancanza di conoscenza e preparazione a gestire questi eventi da parte dei cittadini. Quando si percepisce il pericolo non bisogna andare a salvare la macchina o i gioielli nel sottoscala, ma mettere in sicurezza la propria vita. Non bisogna prendere la macchina, ma sapere - se si vive vicino un fiume all’interno di un’area inondabile - quali sono i punti sicuri dove ripararsi vicino la propria abitazione.

Sul tema del lavoro e delle responsabilità della Pubblica Amministrazione, abbiamo una moltitudine di enti preposti alla conoscenza, consapevolezza e mitigazione del rischio idrogeologico. In Italia, abbiamo un avanzato sistema di leggi, norme ed elevata capacità e competenze di tutti gli addetti ai lavori, enti, università e professioni tecniche sono all’avanguardia. Soffriamo come tutti i settori della pesantezza e complessità del sistema burocratico che impedisce in molti casi azioni efficaci e rapide, con anche troppi enti che a volte non si allineano e si rimpallano la responsabilità, ma il progresso di conoscenza e tecnologico è stato notevole negli ultimi anni. I Piani di Assetto Idrogeologico, i PAI, possono in alcuni casi non essere aggiornatissimi ed accurati su tutto il territorio italiano, ma ci sono. Si può senza dubbio fare meglio e di più anche nella mappatura del territorio nazionale delle aree a rischio, ma il PAI della Regione Marche indicava le aree colpite come a potenziale rischio e la memoria dei recenti eventi passati non determinava alcun elemento di incertezza su tale aspetto.

Importante soffermarsi per questo evento sul sistema e le procedure di Protezione Civile e la questione della mancata allerta: il livello di allerta è stato dato come giallo, ossia fenomeni localmente pericolosi, ma assenza di danni a persone e cose. Se avessero dato livello di allerta arancione, ossia possibili pericoli per persone e cose, sarebbe stato praticamente lo stesso. Anche in condizioni di allerta arancione o addirittura rosso, anche in presenza di un piano di protezione civile aggiornato ed accurato, dare l’evacuazione è una missione impossibile. Qui è importante sapere che la cella temporalesca che si è scaricata sul bacino del Misa avrebbe potuto scaricare, spostandosi solo di pochi chilometri, nella valle di altri bacini costieri marchigiani, impossibile prevedere con esattezza e sufficiente anticipo dove esattamente andrà a verificarsi un evento raro e così localmente intenso. Anche conoscendo le aree vallive e mappando casa per casa le zone a maggiore pericolosità, non sarebbe stata una misura attuabile quella dell’evacuazione. Non si può evacuare un’intera regione in casi come questo. Le caratteristiche idrogeomorfologiche della nostra penisola e delle nostre isole determinano eventi di piena che si sviluppano in poche ore a volte in minuti. Non ci sono i tempi per la previsione e l’evacuazione. Qui la mancata allerta avrà pesato, ma è più corretto parlare di mancata consapevolezza e preparazione della popolazione.

L’evento di precipitazione della Regione Marche ha scaricato un’intensità di 90 millimetri l’ora concentrando quasi 300 mm in 4 ore e complessivamente 400 mm di pioggia proprio nel bacino idrografico del fiume Misa, innescando un evento di rara eccezionalità che ha prodotto un’onda di piena di portata molto superiore alla capacità del corso d’acqua. Nello stesso bacino idrografico nel 2014 le stesse aree erano state colpite quasi con la stessa gravità. Il Piano di Assetto Idrogeologico riconosce la zona come a rischio idraulico ossia soggetta a possibili fenomeni di inondazione, ma anche per eventi di tale eccezionalità si può e si deve fare qualcosa, si sarebbe potuta evitare la strage.

Per prima cosa, capire una volta per tutte l’importanza della prevenzione, la manutenzione ordinaria dei corsi d’acqua deve essere effettuata con competenza e regolarità, le opere straordinarie richiedono anni e studi complessi. Il tema non è facile non potendo mettere in sicurezza l’intera Italia per gli eventi rari, ma nei casi noti dove sono a rischio vite bisogna priorizzare gli interventi straordinari di mitigazione del rischio idrogeologico e farli rapidamente mettendo le risorse economiche e deburocratizzando le procedure.

Ancora sul tema della gestione dell’emergenza importante sottolineare qui il problema dell’allerta e della consapevolezza e conoscenza dei cittadini. Non essendo possibile evacuare, bisogna educare i cittadini. La maggior parte delle persone muore spostandosi in macchina o andando nei piani interrati. Bisogna fare esercitazioni, fare più educazione nelle scuole e qui la tecnologia ha un ruolo fondamentale. Abbiamo sistemi sperimentali di avvertimento della popolazione mediante SMS o notifiche che possono arrivare sui nostri telefoni cellulari, anche geolocalizzando i cittadini che vivono in un’area ad elevato rischio. Dobbiamo rendere questi sistemi operativi, ma soprattutto la popolazione deve essere a conoscenza di tali sistemi e dei rischi ed essere formata in “tempo di pace”, non il giorno dopo quando si contano i morti. Mai come in questo caso la cultura del territorio e del rischio idrogeologico avrebbe potuto salvare molte vite umane.

https://arcg.is/vjXiu

La mappa interattiva in copertina è stata prodotta dai ricercatori Antonio Annis e Andrea Spasiano, esperti di rischio idrogeologico del centro di ricerca WARREDOC dell'Università per Stranieri di Perugia e dello spinoff accademico GRIDDIT, coordinati dal prof. Fernando Nardi.