Giovanni Falcone: la sua importanza nella lotta alla mafia
Il celebre magistrato è scomparso 30 anni fa nella strage di Capaci: la sua vittoria più importante è stata quella nel maxiprocesso
Il nome di Giovanni Falcone è entrato a pieno titolo nella storia del nostro Paese, nonostante siano ormai trascorsi 30 anni dalla sua scomparsa, avvenuta nella strage di Capaci, in cui hanno perso la vita insieme alla moglie Francesca Morvillo e agli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Ancora oggi viene ricordato per il suo coraggio che lo ha spinto nella seconda parte della sua esistenza a lottare strenuamente contro la mafia adottando quello che è poi stato definito il "metodo Falcone". In tutto il mondo si continua a utilizzare il suo modo di trattare le indagini nella battaglia contro la criminalità organizzata.
Giovanni Falcone: perché è stato un personaggio cruciale per il nostro Paese
Giovanni Falcone è nato a Palermo il 18 maggio 1939, dove cresce con una grande passione per il calcio, condivisa da bambino con quello che sarebbe poi diventato un suo collega e amico: Paolo Borsellino.
In un primo momento decide di studiare all'accademia navale, grazie a cui finisce allo Stato Maggiore grazie alla sua abilità di dirigere gli altri, Ben presto si rende però conto di volersi occupare di giustizia e si iscrive così alla facoltà di Giurisprudenza, fino ad arrivare all'approdo in Magistratura, dove entra dopo la vittoria del concorso nel 1964.
Il suo coraggio ha contraddistinto tutta la sua attività, oltre alla sagacia, che lo ha portato a individuare l'esistenza di Cosa Nostra, l'associazione mafiosa in lotta contro lo Stato, come un nemico da dover combattere. Determinante nel suo modo di procedere era la collaborazione con banche e istituti di credito, grazie a cui riusciva a individuare spostamenti di denaro ritenuti sospetti, preludio poi alla morte di alcuni personaggi ritenuti scomodi. Ed è stata proprio la sua determinazione che molti processi di mafia non terminavano più per insufficienza di prove, cosa che invece si era verificata negli anni precedenti.
È lui uno dei componenti, insieme a Giuseppe Di Lello, Paolo Borsellino e Leonardo Guarnotta, di quello che viene definito il pool antimafia, che può vantare ancora adesso la vittoria nel maxiprocesso. In Tribunale viene costituita un'aula bunker in cemento armato per ospitare i mafiosi e permettere così che i giudici possano operare senza sentirsi in pericolo. Determinante è la collaborazione ti Tommaso Buscetta, latitante trasformatosi in pentito che era stato catturato in Brasile. La sentenza finale porta a 19 ergastoli e 2.665 anni di carcere per 339 imputati.