Massimo Carminati: l'uomo nero che custodisce i segreti degli anni di piombo

Dagli anni '70 sempre al centro della cronaca nera. Tante accuse, molti i reati, pochi gli anni di prigione in proporzione per una vita vissuta, da 40 anni, al di fuori della legge.

"Er cecato", l’uomo nero, il re del “mondo di mezzo”, se non di Roma: sono tanti gli appellativi con cui è chiamato Massimo Carminati, classe ’58, protagonista in negativo degli ultimi 40 anni della cronaca italiana. Criminale incallito dalle diverse vite, sempre fuori dalla legge, custode di segreti che in pochi conoscono. Ha incrociato i peggiori “banditi” come uomini di potere. Tutto questo e molto altro, è Massimo Carminati, un’esistenza passata dalla parte sbagliata ma sempre da protagonista.

Nato a Milano, si trasferisce ancora bambino a Roma, dove da adolescente si avvicina agli ambienti della destra estrema: frequenta prima la sezione del Msi di via Marconi e quella dei Fuan di via Siena. Passa, poi, ad Avanguardia Nazionale, parteciperà agli scontri degli anni di piombo guadagnandosi la fama di picchiatore ed anche le prime denunce per rissa, violenza ed aggressione. Nel ’78 verrà anche sospettato dell’omicidio di Fausto e Iaio, due giovani militanti di sinistra uccisi a Milano, ma verrà assolto. Una costante della sua carriera criminale quella delle assoluzioni.

Sono anni particolari, i '70, in cui personaggi che avranno evoluzioni diverse si trovano a fianco. In quegli anni nelle piazze frequentate dalle “destre” si incrociano le storie di personalità che avranno destini molto differenti tra loro: se da un lato in quelle manifestazioni mossero i primi Gianfranco Fini o Gianni Alemanno, protagonisti per lungo tempo della scena politica italiana, dall’altro fu il terreno per la formazione di criminali di notevole spessore. Oltre a Carminati, penso ai fratelli Fioravanti, a Alessandro Alibrandi, perfino ai massacratori del Circeo Angelo Izzo, Andrea Ghira e Gianni Guido.

L’evoluzione criminale dell’uomo nero, tuttavia, subisce un’accelerata notevole con l’arrivo alla Scuola paritaria mons. Tozzi, nel quartiere di Monteverde: qui i suoi nuovi compagni di scuola sono proprio Alessandro Alibrandi e Franco Anselmi, con i quali per un certo periodo condivide anche un’abitazione. I tre frequentano anche il “Fungo” dell’Eur, luogo di ritrovo dei ragazzi di destra ma anche di malavitosi: si legheranno presto ai Nuclei armati rivoluzionari di Valerio Fioravanti, ma Carminati ne approfitterà per stringere amicizia e, soprattutto, fare affari con i criminali della banda della Magliana. Un delinquente a tutto tondo abile, in quarant’anni, ad infilare le proprie mani dappertutto.

Conosce tutti, è di destra ed ha voglia di guadagnare indipendentemente dal modo: per questo piace a Valerio Fioravanti che lo considera non solo un “un cavallo di razza” ma anche uno pronto a tutto ed anello di congiunzione con gli ambienti malavitosi. Con i Nar farà rapine e per loro terrà i rapporti con la Banda della Magliana.  Rapporti talmente stretti che una delle armi finite sotto inchiesta per il “depistaggio” della strage di Bologna, in cui caso strano Carminati è stato condannato a nove anni, faceva parte del famoso deposito di armi della banda romana nel sotterraneo del Ministero della Sanità. Insieme a lui saranno condannati personalità di tutto rilievo, come Licio Gelli ed alcuni elementi di spicco dei servizi segreti.

La sua vita è costellata di avventure ma, anche di morti e sparatorie: dopo essere stato in Libano a combattere con i falangisti, Massimo Carminati viene ferito, una volta tornato in Italia, mentre sta cercando di varcare il confine con la Svizzera, viene colpito in faccia perdendo un occhio e guadagnandosi il soprannome con cui è noto. A soli 23 anni è già uno dei criminali più pericolosi, custode di segreti che trasversalmente passano per tutta la nostra società dai sobborghi fino agli “attici” del potere. Sono anni strani quelli dove politica, malavita ed estremismo si intrecciano in trame tanto assurde da sembrare improbabili.

Verrà accusato anche di essere l’esecutore dell’omicidio del giornalista Mino Pecorelli, direttore di Op: sarà assolto ancora una volta come colui che per l’accusa era il mandante, il senatore Giulio Andreotti. Nel 1999, poi, c’è la rapina al Banco di Roma: un bottino di 50 miliardi di lire in oro e gioielli ma, soprattutto, grazie all’apertura di 147 cassette di sicurezza custodi dei segreti dei potenti, un'arma di ricatto non indifferente. Un’ipoteca che in molti pensano abbia sempre garantito una certa impunibilità a Carminati. Infine, è arrivato il processo di Mafia capitale che, dopo un iter non sempre chiaro, ha portato alla condanna di oggi. Quelli che tutti non sanno, tuttavia, è che probabilmente Carminati non tornerà dietro le sbarre: dei dieci anni inflitti ne ha già fatti 5 e 7 mesi, facile che i restanti possa passarli ai domiciliari, libero di continuare a fare quello che ha sempre fatto.