Sorridere in foto, che cosa si nasconde dietro al “Cheese!” e cosa c’entrano la pubblicità e la macchina fotografica della Kodak

Nelle prime fotografie dell’Ottocento, quando la macchina fotografica era appena stata inventata, nessuno sorrideva. Tutto, difatti, cambiò alla fine del secolo, quando George Eastman lanciò la macchina fotografica Kodak col motto “You press the button, we do the rest”

Oggi sembra scontato mettersi davanti all’obiettivo di una macchina fotografica digitale o di fronte ad una fotocamera di uno smartphone e sorridere. “Cheese!”, ci dicono – o ci diciamo – e la foto è fatta. Ma è sempre stato “normale” sorridere in foto? In realtà, il sorriso fotografico, oggi simbolo di spontaneità e di spensieratezza, è frutto di una precisa costruzione culturale o, per meglio dire, di una brillante intuizione pubblicitaria.

Nelle prime fotografie dell’Ottocento, quando la macchina fotografica era appena stata inventata, nessuno, a ben vedere, sorrideva. I soggetti apparivano rigidi, quasi solenni di fronte all’obiettivo; e questo per almeno due motivi: non solo, infatti, i lunghi tempi di esposizione rendevano difficile mantenere il sorriso per decine di secondi, ma anche l’etica sociale dell’epoca, in base alla quale “posare per un ritratto” era un atto di rappresentanza, non di leggerezza, considerava tanto ridicolo quanto volgare mostrare i denti in foto, specie per le classi più abbienti. Tutto cambiò alla fine dell’Ottocento, quando George Eastman lanciò la macchina fotografica Kodak col sensazionalistico motto You press the button, we do the rest” (“Voi premete il bottone, noi facciamo il resto”). La sua idea fu rivoluzionaria: rendere la fotografia accessibile, facile, quotidiana. Non più, dunque, studi fotografici solenni, ma scatti in vacanza, tra amici, in famiglia. Fu così che nei primi decenni del Novecento, le pubblicità Kodak iniziarono a mostrare famiglie felici, bambini ridenti, momenti di vita semplice. Il sorriso divenne il segno visivo dell’emozione che la fotografia prometteva di conservare – la felicità, per l’appunto – invertendo così la decennale rotta seguita dalla foto. Essa, cioè, smise di rappresentare l’essere – come accadeva nella ritrattistica ottocentesca – ed iniziò a rappresentare il sentire (e la relativa memoria emotiva). In tal senso, la Kodak vendette non solo macchine fotografiche, ma anche un modo totalmente nuovo di stare al mondo (e vedere il mondo). Per cui, se ad oggi sorridere in foto ci sembra naturale, è bene ricordare come anche i nostri gesti più scontati siano, invero, frutto di costruzioni culturali (e pubblicitarie) sedimentatesi nel corso del tempo.