Il furto dei gioielli napoleonici al Louvre riapre il dibattito, in Italia, sui gioielli della Corona di Casa Savoia. In molti si chiedono: ci saranno ancora?

La Francia è ancora sotto shock per il clamoroso furto di ben 9 gioielli appartenenti alla collezione napoleonica esposti nel più grande museo del mondo, il Louvre. Ma in Italia che fine ha fatto il tesoro della Corona?

Il furto del Louvre riapre il dibattito, in Italia, sui gioielli della Corona di Casa Savoia. Sono in molti a chiedersi se ci siano ancora e soprattutto in quali condizioni

La Francia e i francesi sono ancora sotto shock per il clamoroso furto avvenuto la mattina del 19 ottobre quando un “commando” di 4 persone si è introdotto con gilet gialli come fossero lavoratori del cantiere, sono saliti sul montacarichi e si sono introdotti, senza esitare, nella Galleria di Apollo, al primo piano dell'ala Denon del museo. Hanno forzato la finestra utilizzando una sega circolare, poi una volta all'interno della galleria hanno infranto due teche e si sono impadroniti dei gioielli uscendo dopo 7 minuti dileguandosi sui due scooter, due Yamaha T-Max. Poco più tardi, è stata ritrovata la corona dell'imperatrice Eugenia, probabilmente persa durante la fuga dei malviventi, danneggiata e subito affidata ai periti che ne stanno valutando i danni. "Al momento dell'effrazione - spiega la ministra della Cultura Rachida Dati, la prima ad accorrere sul posto, i 5 agenti del museo presenti nella sala e negli spazi adiacenti sono immediatamente intervenuti per applicare il protocollo di sicurezza: stabilire il contatto con le forze dell'ordine e proteggere prioritariamente le persone". Secondo il bilancio del ministero, i banditi "sono stati messi in fuga e hanno lasciato dietro di loro attrezzature e oggetti che stavano rubando, come appunto la corona dell'imperatrice. Un tentativo di incendio del furgone utilizzato dai ladri è stato impedito grazie all'intervento di un agente del museo". Nessuno è rimasto ferito nell'azione dei banditi, da più parte definiti "dei professionisti". "Il furto commesso al Louvre è un attacco a un patrimonio a noi caro perché è la nostra Storia", scrive in un post il presidente Emmanuel Macron. Il 16 giugno i dipendenti avevano scioperato per denunciare la mancanza di personale. A gennaio, la direttrice del museo, Laurence des Cars, aveva allertato Rachida Dati sulla "moltiplicazione di avarie" e sull'impellenza di "grandi lavori". Alla fine di gennaio, con un discorso davanti alla Gioconda, Emmanuel Macron aveva annunciato "un vasto cantiere di rinnovamento" del museo per un totale di 500 milioni di euro. Il furto dei gioielli imperiali “riapre” il caso dei gioielli della Corona dei Savoia, depositati da Umberto II prima di partire per l’esilio al governatore della Banca d’Italia Luigi Einaudi, il quale si era da subito chiesto perché il Re non li portasse in Portogallo nel suo esilio, ritenendo che fossero di proprietà della famiglia Savoia. I gioielli sono custoditi da 80 anni nel caveau della Banca d’Italia, ma secondo qualcuno andrebbe verificata, innanzitutto la loro presenza, in secondo luogo il loro stato di conservazione, come per esempio nel caso delle famose perle della Regina Margherita di Savoia. Le perle sono molto delicate e hanno bisogno di essere esposte alla luce per evitare un loro deterioramento. Tutto questo non è possibile perché i gioielli non sono mai stati esposti al pubblico, la Banca d’Italia non si è mai interessata della loro presenza e della loro condizione, tanto che dopo ben 80 anni gli eredi di Umberto II, le principesse Maria Pia, Maria Gabriella, Maria Beatrice ed Emanuele Filiberto (in quanto erede di Vittorio Emanuele, ndr) hanno fatto causa allo Stato Italiano per la loro restituzione. Una prima sentenza ha dato loro torto, adducendo varie motivazioni, ma la partito non è finita: Emanuele Filiberto ha dichiarato di volersi rivolgere alla corte europea dei diritti dell’uomo per la restituzione dei gioielli che furono depositati da Umberto II nel Caveau della Banca d’Italia, prima della partenza dell’esilio, con la scritta autografa “a chi di diritto”. Una forma senz’altro ambigua, già all’epoca, forse suggerita dal Ministro della Real Casa Falcone Lucifero, che mai si sarebbe immaginato che da li a poco tempo sarebbe stata promulgata la costituzione che avrebbe vietato per sempre l’ingresso e soggiorno in territorio nazionale degli ex re, delle loro consorti e dei loro discendenti maschi, e che revocava alla Stato Italiano tutti i beni di casa Savoia presenti sul territorio nazionale. Difficile interpretare il gesto dell’ultimo Re d’Italia, fatto sta che a distanza di 80 anni, i diretti discendenti di Umberto non demordono. «Quei gioielli sono nostri, non dello Stato». Il cosiddetto tesoro della Corona d’Italia è composto da oltre seimila brillanti, duemila perle, un raro diamante rosa montato su una spilla, diademi e collier. Fu ilo marchese Falcone Lucifero, a consegnarli alla Banca d’Italia “per conto di Sua Maestà il Re Umberto II”, precisando che dovevano essere “tenuti a disposizione di chi di diritto”. «Non si tratta di beni statali, ma di patrimonio personale della famiglia reale – sostengono i Savoia – non furono mai confiscati, solo depositati». Per questo, gli eredi di Umberto II hanno chiesto alla Corte d’Appello di non applicare la XIII disposizione della Costituzione, ritenuta in contrasto con le norme europee, e di disporre la riapertura del cofanetto per verificarne il contenuto. Il giudice Mario Tanferna, nella sentenza di primo grado, ha sentenziato che «i gioielli non sono mai appartenuti a Umberto II, ma allo Stato fin dai tempi dello Statuto Albertino». Un principio, aggiunge, «rimasto invariato nel passaggio alla Costituzione repubblicana, che prevede l’avocazione allo Stato dei beni degli ex re di casa Savoia e dei loro discendenti maschi». Da parte loro, i Savoia hanno evocato una figura autorevole: Luigi Einaudi, allora governatore della Banca d’Italia. Nei suoi diari, scrisse che «potrebbe ritenersi che le gioie spettino non al demanio dello Stato, ma alla famiglia reale». Tuttavia, per il giudice Tanferna, «non può essere attribuito un valore decisivo ai diari». Una posizione condivisa anche da Olina Capolino, ex capo degli avvocati della Banca d’Italia, secondo cui quelle annotazioni riflettevano «sentimenti di stima personale e simpatie monarchiche del Primo Presidente della Repubblica». Al di là delle interpretazioni sulla proprietà dei gioielli, è davvero singolare che in 80 anni non siano mai stati esposti al pubblico.