Museo della Scuola Romana, s’inaugura il nuovo percorso artistico tra i fasti principeschi di Villa Torlonia
Saloni scintillanti e suggestivi ricordi di noblesse oblige incorniciano i paesaggi di una lontana Roma incantata
Quando si dice, fare lo splendido… questa colorita espressione romanesca indica chi vuole primeggiare sugli altri, ma non pensate che sia nata tra i linguacciuti trasteverini. Deriva invece da Stendhal, nientemeno: fu lui a definire il principe Alessandro Torlonia “lo Splendido”. Soprannome ancora oggi azzeccatissimo perché il Museo della Scuola Romana, ospitato dal 2006 nella monumentale Villa Torlonia sulla via Nomentana, è una location che più splendida non si può. Appunto.
Dal 16 settembre il delizioso Museo si ripropone ai visitatori con l’innovativo allestimento “Sguardi sulla città” che esalta alla grande la poesia delle sue opere novecentesche: dipinti, sculture, stampe, disegni, tutti dedicati alla Città Eterna, come una struggente canzone d’amore, frutto del talento e della sensibilità di Antonietta Raphaёl, Mario Mafai, Fausto Pirandello, Toti Scialoja.
Compariranno capolavori in comodato d’uso con collezioni private o provenienti dai depositi della Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, di solito non visibili al pubblico. E il ruolo di star spetterà alla pregiata “Collezione Roma”: bellissima, 54 vedute della Capitale, di formato identico, realizzate tra il 1946 e il 1948 da Giorgio de Chirico, Renato Guttuso, Filippo de Pisis, Renzo Vespignani, e cioè i più significativi esponenti di quel periodo.
Tutto intorno, Villa Torlonia ammalia con i suoi edifici elegantissimi, la folta vegetazione e le vicende storiche contrassegnate da opulenza e sfarzo. Non a caso Ignazio Silone, nel 1933, riferendosi alla potenza della casata, scrive in “Fontamara”: “Dopo Dio, viene il principe Torlonia, padrone della terra”. Niente male per i discendenti di Marin Tourlonias: un astuto francese giunto a Roma nel 1750 e arricchitosi commerciando in tessuti.
Suo figlio Giovanni fu poi il banchiere per eccellenza dell’aristocrazia romana ed europea, nominato marchese e principe. E la loro strepitosa scalata sociale culminò con lo “splendido” nipote Alessandro, munifico anfitrione dei Borbone, dello zar di Russia, del granduca di Toscana.
Certo, le millenarie dinastie capitoline consideravano parvenus i Torlonia perché avevano ottenuto il blasone “appena” nel XIX secolo - erano fatti così, si ricordi l’aneddoto di Napoleone Bonaparte che chiede con condiscendenza al principe Francesco Massimo: “Discendete davvero dal console Quinto Fabio Massimo il Temporeggiatore?” e si sente rispondere con nonchalance: “Mah, è una diceria che gira nella mia famiglia da diversi secoli” …
Comunque, è proprio per questo che il principe Alessandro Torlonia s’incaponisce a fare “lo splendido” e ad eclissare ogni altra famiglia e residenza patrizia. Nell’immenso parco della Villa fa costruire un Teatro grandioso come il Pantheon. Nel 1842 organizza una festa leggendaria per innalzare due obelischi di granito rosa alla presenza di papa Gregorio XVI e del re Luigi di Baviera, distribuendo al popolino 16.000 ciambelle e 17.000 “fojette” (bicchieri di vino). E il suo ego non è soddisfatto fino a quando il Thorvaldsen non lo raffigura nelle vesti di Alessandro Magno che entra trionfatore a Babilonia...
Il fulgore della Villa si appanna dal 1925 al 1943 quando diventa abitazione della famiglia Mussolini - vecchi dagherrotipi in bianco e nero presentano il duce che gioca a tennis in giardino, donna Rachele affaccendata nell'orto, Edda e Galeazzo Ciano belli e spavaldi che salutano la folla nel giorno delle nozze - e poi inenarrabili danni le sono inflitti dall’occupazione del Comando Anglo-Americano tra il 1944-1947, portando a un degrado durato 30 anni.
Finalmente, nel 1978, il Comune di Roma l'acquista e ne intraprende il graduale recupero, riaprendo a poco a poco tutte le sue preziose dimore: la Limonaia, il Villino Rosso, la Casina delle Civette, il Villino Medievale, il Casino dei Principi, adesso sempre animati da mostre, concerti, eventi.
Particolarmente felice risulta il restauro del Casino Nobile dove, al secondo piano, viene collocato il Museo della Scuola Romana. L’edificio spicca niveo in un parco smeraldino di robinie, lecci, magnolie, tra statue e specchi d’acqua, con quell’aspetto regale che gli diede a suo tempo Giuseppe Valadier. Attraversandolo per salire al Museo si resta sbalorditi.
Infatti, Gianbattista Caretti, nel via vai di titolati in ghette e dame adorne di strass, nel 1830 trasmise un’alterigia impressionante al pronao d’ingresso con dieci colonne ioniche. Rinaldo Rinaldi volle decisamente strafare realizzando un timpano gigantesco su cui furoreggia il “Trionfo di Bacco”. E Filippo Ghirlanda disegnò una scala in bronzo e oro che ancora oggi è considerata la più bella d'Europa.
Il percorso di visita è tutto mosaici, marmi, specchiere, cornici, dorature, e non mancano le curiosità: il Caretti, per esempio, trovando le stanze da letto troppo piccole per i baldacchini spropositati che avevano in mente i Torlonia, li dipinse sui soffitti con strabilianti effetti a trompe l’oeil. E qualche restauratore bacchettone, giudicando troppo audaci le rarissime pitture “ad olio su muro” nella cosiddetta “Stufetta”, stanza da bagno in stile pompeiano con nudi mitologici, ebbe la brillante idea di ricoprirle per trasformarla in una cappella…
Più sobrie le sale della Scuola Romana, corrente che si affermò a Roma tra le due guerre: uno dei momenti più vitali dell'arte italiana del XX secolo grazie a nomi prestigiosi come Antonio Donghi e Francesco Trombadori. Il fascino è intenso tra ritratti, nature morte, acqueforti di Luigi Bartolini, schizzi di Riccardo Francalancia e di Guglielmo Janni che rivelano una Roma magica e segreta.
La pittrice e scultrice Antonietta Raphael rievocherà con nostalgia, dopo molti anni, quel fervore creativo e giovanile: “Roma da quelle parti era stupenda, tutte piazzette, casette, e noi avevamo una casa all'ultimo piano con un terrazzo enorme, meraviglioso, dove mangiavamo, dipingevamo, chiacchieravamo, e di lì c'era quella veduta che faceva rimanere senza fiato.”
Senza fiato, proprio come ti lasciano il Museo e Villa Torlonia. Allo “Splendido” Alessandro questo sarebbe piaciuto molto, c’è da scommetterci: ha surclassato tutti quanti, che gusto!
Di Carla Di Domenico