Pupi Avati e il suo ultimo film “L’orto americano": siamo i registi del nostro viaggio, e lo scollinamento è determinante nella vita
A lezione di vita con Pupi Avati - il maestro si racconta dopo l’anteprima del suo ultimo film, tra risate e commozione: le persone anziane dovrebbero dirlo ai giovani, che cos’è la vita” e i soggetti più fragili, timidi, quelli che hanno sofferto tanto, sono i più veri, quelle che ti daranno di più
In occasione dell’uscita de “L’orto americano”, l’ultimo film di Pupi Avati, vorrei raccontare la mia esperienza essendo stata all’anteprima al cinema Anteo di Milano.
Nessuna recensione del film, non sono esperta cinefila, o cinofila come qualcuno del pubblico ha esclamato al momento delle domande, ma condividere ciò che mi ha colpita durante l’intervento del regista presente in sala, insieme al protagonista Filippo Scotti.
Pupi Avati è un maestro di una simpatia e comicità davvero piacevole e rara. Con i suoi splendidi 86 anni ci ha regalato perle di saggezza e di commozione. E vi assicuro tante e tante risate.
“Le persone anziane dovrebbero dirlo alle persone più giovani che cos’è la vita”. La vita, nella cultura contadina, è una collina che si sale. Si sale convinti che lassù, in cima, succederà qualcosa di straordinario e per cui, finalmente, si accorgeranno di noi: di quanto siamo bravi, intelligenti, belli e speciali. Se ne accorgeranno e, dentro di noi, abbiamo questa sensazione.
Partiamo bambini con la convinzione che quello che c’è, la mamma, la pappa, i giochi, la stanza, così come la vediamo, ci saranno per sempre. Il bambino non sa che tutte queste cose sono destinate a deperire. Proseguendo con l’adolescenza e la giovinezza arriviamo nel pieno della nostra vita, cresciamo e capiamo che il “per sempre” non esiste, ma, ad ogni modo, il nostro sguardo è al futuro. Arrivati alla cima osserviamo dall’altra parte e riguardiamo il percorso che abbiamo fatto per arrivarci, mettendoli a paragone. Ci rendiamo conto che il percorso per salire è più bello di quello che ora ci attende. E così accade lo scollinamento. Ognuno di noi ha vissuto o vivrà questo momento, quello in cui il fisico e la mente sembrano non coincidere più.
E qui, mi permetto umilmente di intervenire, vorrei proseguire la storia con la mia esperienza. Questo è il momento magico in cui la nostra forza interiore inizia a divenire azione e creazione di ciò che fin ora abbiamo sperimentato. Tra successi e fallimenti siamo cresciuti, forgiando gli strumenti di cui ora abbiamo il potere e la capacità di utilizzare a pieno. Ora possiamo scegliere con coraggio di stare bene e far star bene le persone che incroceranno il nostro cammino. È un momento importante, e sapere di poterlo fare al meglio delle proprie risorse e capacità mi emoziona, rendendomi partecipe e responsabile di questo incredibile percorso di vita.
Il maestro conclude così: nell’ultima fase della vita si torna bambini. Un anziano è come un bambino, due esseri che si comprendono quasi senza parlare perché hanno un legame profondo: la vulnerabilità, meravigliosa vulnerabilità. Per il regista una delle migliori qualità che l’essere umano possegga.
Avati invita tutti noi a ricordarci delle persone che non ci sono più parlando con esse, come per annullare uno spazio-tempo che fa parte di un qualcosa più espanso, oltre la vita.
E infine questo pensiero che condivido totalmente:
I soggetti più fragili, timidi, quelli che hanno sofferto tanto, sono i più veri. Saranno le persone che sul set cinematografico, aggiungerei sul set della vita, ti daranno di più, condividendo qualcosa che non hanno mai dato e svelato a nessun altro prima.
Grazie di cuore maestro!