Cult, “Il segno del comando” terrorizzò tutta l’Italia negli anni ’70: oggi torna in libreria mentre Teche Rai e Dvd continuano a riproporne le atmosfere tenebrose
L’intramontabile sceneggiato è probabilmente il più bello mai trasmesso in Tv. I suoi must? strepitoso stampo teatrale e una Roma gotica dalle location inquietanti
L’orologio settecentesco del negromante Ilario Brandani che si ferma inspiegabilmente alla morte del colonnello Tagliaferri… l’enigmatica statua dell’angelo “messaggero di pietra” che custodisce dossier segretissimi…l’allucinata seduta spiritica con quell’urlo agghiacciante della medium velata di nero…i surreali manichini della misteriosa Sartoria Paselli con la finestra che piomba nel buio all’improvviso…
Impossibile dimenticare le scene madri de “Il segno del comando”, lo sceneggiato in assoluto più avvincente della Rai: a fine ottobre in libreria con una nuova, libera trasposizione firmata da Loredana Lipperini ed edita da RaiLibri che progetta un’apposita collana sulle mitiche serie ’60-’70.
La trasmissione andò in onda dal 16 maggio al 13 giugno 1971 per la regia di Daniele D’Anza: cinque puntate dalla suspence magistrale che ogni volta, puntualmente, spaventavano e incollavano allo schermo 15.000 spettatori. C’era di tutto: reincarnazioni, occultismo, spettri, fattucchieri e spartiti musicali che celavano arcani criptati. E un mix sapiente, scritto da vari sceneggiatori tra cui Giuseppe D’Agata, mescolava una Roma apparentemente normale (il grazioso Hotel Galba, la sede del British Council che organizza cocktail eleganti con belle fanciulle aristocratiche) a una Roma onirica e buia (la Taverna dell’Angelo che nessuno conosce, la piazza “con delfini” descritta da Lord Byron nei minimi particolari e poi svanita nel nulla).
Da oltre cinquant’anni l’interesse per “Il segno del comando” non è mai scemato e questa storia insuperabile è sempre fruibile su RaiPlay nella sezione Teche o acquistabile su Amazon in Dvd nell’edizione più recente del 2019. Ne è stato tratto anche un remake in versione film trasmesso da Canale 5 nel 1992, e vale la pena di rovistare tra i libri vintage per scovarne due che Giuseppe D’Agata rielaborò dalla sceneggiatura nel 1987 (Rusconi) e nel 1994 (Tascabili Economici Newton).
Gli ingredienti di questo successone? Oggi parrebbero anch’essi un mistero, tanto per rimanere in tema. All’epoca non esistevano gli effetti speciali, si girava in bianco e nero, i mezzi erano limitati, il montaggio elementare, i tempi lunghi, le inquadrature statiche e le modalità di fruizione completamente diverse da quelle attuali (una puntata a settimana, l’orario fisso, l’ingenuo riassunto iniziale). La carta vincente sta tutta nell’interpretazione di eccezionali attori teatrali dalle voci colme di mille suggestive inflessioni, perfettamente in parte, o meglio in stato di grazia, come Ugo Pagliai che tratteggia con la giusta dose di sgomento il Professor Edward Forster: giunto a Roma da Cambridge per tenere una conferenza sul poeta Byron e su un suo diario denso di annotazioni inspiegabili, egli ha ricevuto una lettera da un tale pittore Marco Tagliaferri…ma il pittore è morto…recentemente? no, da cento anni…
E Carla Gravina? Bella, rapinosa, sfuggente, era la modella Lucia…o forse solo il suo fantasma? E poi Massimo Girotti!, affascinante, ironico, disinvolto, vestiva gli abiti (dall’ottimo taglio) di Mr. Powell, flemmatico addetto culturale dell’ambasciata inglese, con molti scheletri e reticenze nel cassetto. E poi la diva Rossella Falk che ascolta turbata il salmo XVII della “doppia morte”, opera maledetta del mago Baldassarre Vitali: un’Olivia dalle grazie ormai appannate e costretta a legarsi al rozzo avventuriero Sullivan-alias l’ottimo Carlo Hintermann.
Sopra gli altri spicca il vecchio leone Franco Volpi che, con una recitazione teatrale di altissima scuola, mette sapientemente in scena il Principe Raimondo Anchisi, raffinatissimo, dalla lucida follia: con il suo tetro palazzo nobiliare, la cupa biblioteca zeppa di testi sulle arti magiche e un gruppetto di accoliti particolarmente spaventosi perché di notte si dedicano a spiritismo e scienze occulte, e di giorno si occupano di faccende ordinarie - la bravissima Silvia Monelli è la direttrice educata e inappuntabile dell’Hotel Galba, e il garbato sarto Paselli interpretato da Amedeo Girardi sembra pensare soltanto ai suoi splendidi abiti d’epoca, peraltro ottenendo il risultato forse più angosciante di tutti perché si basa solo sulla mimica e non pronuncia mai nemmeno una parola per l’intera vicenda.
Ex aequo, l’altro elemento determinante è la Roma onirica e decadente delle riprese esterne, quasi sempre notturne, con dimore vetuste, chiese nascoste, locali retrò, cortili oscuri e appartati. Trastevere servì da sfondo per la lugubre Taverna dell’Angelo, lo studio dello spettrale pittore Tagliaferri fu creato in via Margutta 33, Pagliai-Forster scopre un suo incredibile autoritratto nel Caffè Greco e si confida con Olivia sulla terrazza della Casina Valadier. E il sinistro palazzo del Principe Anchisi è in realtà il Palazzo Mattei di Giove in via dei Funari, con logge e vetrate paurosamente buie, mentre la “piazza con delfini e tenebrose presenze”, tanto cercata da Forster e autentico tormentone di tutte le cinque puntate, corrisponde a piazza dei Coronari.
Una curiosità. Le riprese fuori Roma furono pochissime: una è quella che dovrebbe rappresentare il bellissimo Cimitero degli Inglesi vicino alla Piramide Cestia. In realtà si trova a Canale Monterano, minuscola cittadina laziale sorta dalle rovine dell’antico borgo di Monterano. Quest’ultimo, abbandonato da secoli, con acquedotto, mura e cattedrali in rovina, d’immenso charme nella boscaglia, è soprannominato “la città fantasma”. Spessissimo viene utilizzato come set cinematografico e recentemente vi è stata ambientata “Luna nera”, serie Tv di Netflix popolata da streghe, stregoni e libri esoterici. Guarda le coincidenze…
Di Carla Di Domenico.