Giornate degli Autori, Venezia 81: Vakhim affronta con la forza di una storia vera, un tema poco esplorato, quello delle adozioni
In realtà è molto di più di un documentario sulle adozioni: è un film sulle separazioni, sulla memoria, sulla ricerca delle proprie origini e del proprio passato. La storia sentimentale di un mondo perduto e ritrovato
Adottato in Cambogia a quattro anni, Vakhim arriva in Italia nel 2008. Parla solo khmer e tutto intorno a lui è sconosciuto, è un bambino solare e per adattarsi rimuove le tracce della sua breve vita, che però non scompare del tutto. In Italia c’è Maklin, la sorella maggiore e dopo qualche anno arriva una lettera: è la madre naturale di Vakhim che chiede del figlio. Francesca e Simone, i genitori adottivi, decidono di andarla a cercare. La scelta stilistica è nata spontaneamente, assecondando la qualità intima del materiale filmato e le sue potenzialità. Quelli che dovevano essere semplici filmati di famiglia, diventano lo sguardo partecipe e la testimonianza di un distacco imposto, drammatico, dal mondo di Vakhim.
Il film ha la mia voce narrante – come madre e regista del film – a fare da contrappunto alle immagini. Una commistione di repertorio privato e nuove riprese, cui è affidato il compito di dar corpo alla vita nascosta nella mente di Vakhim. Il linguaggio si destruttura con l'avanzare della storia, abbandonando la costruzione strettamente realistica, grazie alle riprese realizzate ex novo in Cambogia. Il viaggio di ritorno nella zona d’origine, il rapporto con i bambini e i contadini che interpretano i ricordi di Vakhim e di sua sorella Maklin, le loro emozioni nel ritrovarsi in quel mondo, l’incontro con la madre naturale, sono caratterizzati da un linguaggio visivo che alterna al realismo del tempo presente quello più libero della memoria. Per questa ragione ho utilizzato linguaggi visivi differenti, a cui corrispondono anche mezzi tecnici di ripresa diversi.
Le ricostruzioni dei ricordi di Vakhim e Maklin in Cambogia hanno un carattere più cinematografico, il diario di viaggio, invece, uno stile totalmente realistico cui è affidata anche la narrazione del clima delle riprese, gli stati d’animo di Vakhim e Maklin, le notizie che arrivano sulla madre naturale, i primi contatti, sino allo sconvolgente incontro con lei. Questi due piani narrativi scivolano senza soluzione di continuità dalla finzione alla realtà, dal passato cambogiano al presente italiano, conferendo così verità ma anche livelli differenti di interpretazione alle immagini. Un linguaggio non centrato sulla narrazione lineare, ma che si adegua alla flessibilità del mondo interno, nel quale il tempo si dilata e si contrae. Rimescolando continuamente sensazioni, ricordi e associazioni improvvise, per restituire un'immagine di quella realtà invisibile, racchiusa ora nella memoria del bambino ora in quella dello stesso divenuto adulto. Lasciarlo affiorare, talvolta irrompere, fra le maglie del racconto, cercando nella memoria intermittente di un ragazzo il punto di vista di un bambino: per scorci, dettagli, suoni, voci. Uno sguardo che si muove nel perimetro circoscritto della sua minuscola capanna, dei campi adiacenti, nelle piantagioni di alberi di caucciù dove lavorava sua madre. (Francesca Pirani). Vakhim affronta, con la forza di una storia vera, un tema poco esplorato, quello delle adozioni. In realtà è molto di più di un documentario sulle adozioni: è un film sulle separazioni, sulla memoria, sulla ricerca delle proprie origini e del proprio passato. La storia sentimentale di un mondo perduto e ritrovato.
La sfida produttiva è stata quella di accompagnare Francesca nell’originale lavoro di commistione fra materiale di repertorio e girato. Un vero e proprio ponte tra passato e presente, tra il 2008, l’anno in cui Vakhim è stato adottato, e il 2023, l’anno del ritorno in Cambogia, quando Vakhim ha potuto finalmente specchiarsi nella propria infanzia. Intorno a questi due elementi visuali si muove il senso stesso del film. Le straordinarie immagini di repertorio girate dalla regista sono immagini “oggettive”, spina dorsale del racconto “diaristico” di un bambino che cresce. Ma sono anche la testimonianza di un passato che proprio quando sembra stia per perdersi, improvvisamente riaffiora, in modo inaspettato: prima con il ritrovamento della sorella maggiore, Maklin, e di altri due fratelli, tutti adottati in Italia; poi, col riapparire della madre biologica dei ragazzi, attraverso l’arrivo di alcune lettere.
Ecco allora che il film assume pienamente il suo carattere di ricerca, in una doppia chiave: la ricerca della mamma e la ricerca delle proprie origini, del proprio vissuto interiore. Alle riprese realizzate nel 2023 in Cambogia è affidato il compito di testimoniare questa ricerca, dando corpo alle immagini nascoste nella mente di Vakhim bambino, annidate nei suoi ricordi: uno sguardo che si muove nel perimetro circoscritto della sua capanna, dei campi adiacenti, delle piantagioni di caucciù dove lavorava sua madre. Il racconto di un viaggio che segue però un filo totalmente emozionale.
Nel capitolo finale del film, in cui il protagonista ritrova il proprio passato dopo 15 anni, il racconto lascia che la voce narrante della madre si confonda con il flusso dei ricordi di Vakhim, con le riflessioni sulla propria storia. Stati d’animo intensi, ma anche discordanti e spesso brucianti, che accompagnano Vakhim con le sue incertezze e i suoi timori, fino alla decisione di lasciarsi rapire dal proprio passato e di riabbracciare la madre naturale in un incontro potente ed emozionante.
Il produttore, legato alla regista e al protagonista del film da una profonda amicizia personale, ha seguito questa storia sin dall’inizio e l’ha accompagnata nella sua realizzazione, dalla scrittura all’edizione, dalla selezione del repertorio alla costruzione del racconto, e naturalmente lungo il suo processo produttivo e finanziario. Il Film verrà proiettato alle Giornate degli Autori
6 SETTEMBRE, h.20.30: Photocall (Casa degli Autori) h. 21: Proiezione ufficiale (Sala Laguna)
5 SETTEMBRE, h.13.15: Proiezione stampa (Sala Laguna)
Poliedrica regista e sceneggiatrice italiana, Francesca lavora fra cinema, televisione, teatro e letteratura. Laureata in Storia e critica del cinema presso l'Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” con una tesi sul cinema di Andrej Tarkovskij, Pirani ha completato la sua formazione al Centro Sperimentale di Cinematografia e all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico”. Per il cinema, ha collaborato come aiuto regia con Marco Bellocchio per il film La visione del sabba (1988), che ha anche co-sceneggiato, e per Il sogno della farfalla (1994). Inoltre, ha curato diverse rassegne cinematografiche da lui dirette. Nel 1997 ha esordito al lungometraggio con L’appartamento, prodotto dalla Rai e dalla produzione di Marco Bellocchio Film Albatros, primo capitolo di un progetto di quattro film intitolato Un altro paese nei miei occhi, sull'immigrazione in Italia. Nel 2002 ha firmato la regia del lungometraggio Una bellezza che non lascia scampo e nel 2017 ha co-diretto il documentario BEO con Stefano Viali, con cui ha ottenuto numerosi riconoscimenti come il Miglior documentario italiano al Rome Independent Film Festival e il Silver Palm al Mexico International Film Festival. Più recentemente, sempre con Stefano Viali, ha co-diretto D’Annunzio. l’uomo che inventò sé stesso (2022). Vakhim è la sua ultima fatica per il cinema. Per la televisione, invece, fra i tanti, ha co-diretto importanti documentari con Carlo Lizzani come Napoli Napoli Napoli (2006), Bergamo e provincia (2006), Agusta Westland (2007), Lumsa. Un grande cammino (2010) e Suor Orsola Benincasa: dalla Cittadella all’Istituto Universitario (2011).