La Bellezza del Segno in mostra nella monografica su Armando Testa a Ca' Pesaro Venezia durante la Biennale 2024
“Sono sempre stato curiosissimo, pronto ad esplorare le ultime tendenze sul piano tecnico e tematico. Ho scoperto che ero un astratto per istinto e ciò che m’interessava di più era la sintesi. Naturalmente con divertissement”.
Presso Museo Ca' Pesaro in Santa Croce 2076 a Venezia, durante l’intero periodo della Biennale 2024, la grande mostra monografica dedicata al creativo piemontese Armando Testa porta in scena la sua intensa produzione artistica.
Dall’esempio delle pubblicità per Pirelli e la birra Peroni, i personaggi di Caballero e Carmencita per il caffè Paulista di Lavazza, l’ippopotamo azzurro Pippo dei pannolini Lines, alla celebre sfera rossa sospesa del Punt e Mes e alle ricerche legate al tema del cibo, visto nelle sue declinazioni più ironiche.
“Confesso che non ho mai voluto avere un segno subito riconoscibile – spiegava Armando Testa - ma la sintesi, l’uso dei fondi bianchi e dei colori primari, la centralità dell’immagine, hanno finito per diventare il mio stile”.
Dall’uso di una pluralità di linguaggi espressivi, alla ricerca inesauribile sulla figura umana, le geometrie, i pieni e i vuoti, il positivo e il negativo, di ogni lato dell’artista, pittore, scultore, disegnatore, pubblicitario e creatore di suggestioni condensate sempre in una sintesi inaspettata.
Il lavoro curatoriale dell’esposizione fatto da da Gemma De Angelis Testa insieme con Tim Marlow, direttore del Design Museum di Londra, ed Elisabetta Barisoni, responsabile di Ca’ Pesaro, ricostruisce l’intero percorso artistico e la visione unica dell’uomo e del creativo multidisciplinare che ha cercato di esprimersi in tutte le maniere che gli piacevano.
La fondazione dello Studio Testa nel 1956 aggiunge una continua produzione di cartelloni e manifesti pubblicitari, la creazione a getto continuo di personaggi d’invenzione e slogan riconoscibili che diventano nel tempo parte integrante della storia del costume italiano.
Una volta lui stesso spiegava: “Mi sono divertito a creare immagini imbarazzanti. È stata una specie di rivolta personale che mi faceva veramente felice. Non solo perché le idee erano realmente originali, ma perché si coniugavano sempre con l’ironia e con la curiosità di interpretare la realtà in modo anticonformista”.
Con trent’anni d’anticipo e con assoluta sensibilità, aveva capito come la produzione e la circolazione delle immagini avrebbero acquisito un ruolo sempre più fondamentale nelle relazioni tra le persone e nella definizione della società moderna, così come i loghi e i segni grafici iconici avrrebbero mantenuto vivo il fascino della Pop art.
Parallela e contigua, corre la ricerca inesauribile di Armando Testa su alcune questioni sempre aperte legate ai temi sociali e alla diffusione culturale o più intellettuale.
In una costante e mai doma ricerca, che passava da un cartellone figurativo a uno astratto, dalla realtà fotografica ai manifesti fluorescenti, alla pittura astratta e alle serigrafie, ai lavori puramente grafici e ai personaggi di fantasia che conservano la bellezza del segno, cifra distintiva del suo universo visivo.
La metamorfosi era fondamentale nel pensiero di Testa e nella realizzazione delle sue opere, con alla base una serietà di intenti e di contenuti ed anche un lato più leggero, viscerale, il cui impatto era e doveva rimane immediato e di sintesi.
In un breve suo saggio intitolato ‘Filosofia creativa’, scritto negli anni Ottanta, Armando Testa afferma di non aver “mai avuto il privilegio di essere ambiguo e che come pubblicitario aveva fatto tutto il possibile per proporre messaggi chiari e diretti, attraverso segni, simboli e immagini, gli strumenti più importanti mai stati inventati ai fini della comunicazione”.
Testa in realtà dimostra di percorrere con disinvoltura tutti i territori artistici con estrema libertà, dovuta forse al fatto di non essere legato o definito da uno stile preciso. Allo stesso modo era sempre in gara con sè stesso, sia sul piano tecnico che tematico.
“Per molto tempo ho considerato l’astrattismo come un alibi: solo più tardi ho scoperto invece che ero un astratto per istinto. Ciò che spero di essere riuscito a fare e a far capire, dai cartelloni alla pittura, dall’astratto alla narrazione, è di essere sempre stato fedele ad una sola idea: la sintesi, l’essenzialità”.