Antoine Doinel non è un personaggio esemplare: è scaltro, ha del fascino e ne approfitta, mente e ancor più spesso dissimula e richiede più amore di quanto egli stesso ne possa offrire

Me la ricordo bene la prima volta che vidi Les Quatre Cents Coups. Avevo nove anni e quel film impattò sulla mia esistenza come uno tsunami. Nel film Antoine è un dodicenne, appena tre anni più grande della me bambina di allora. Per la prima volta mi sentii capita

Antoine Doinel non è quello che si dice un personaggio esemplare; è scaltro, ha del fascino e ne approfitta, mente e ancor più spesso dissimula e richiede più amore di quanto egli stesso ne possa offrire; non rappresenta l’uomo in generale ma un uomo in particolare” (François Truffaut

Antoine Doinel, interpretato sempre da Jean-Pierre Léaud, è stato considerato l’alter ego di Truffaut, che ce lo ha proposto in varie salse nei suoi film. Doinel/Léaud cresce, ama e invecchia nel cinema di Truffaut, si passa dall’adolescenza inquieta de I 400 colpi, alla giovanile delusione amorosa de L’amore a vent’anni, dall’adulto che cerca se stesso disperato, allo specchio, di Baci rubati alla vita coniugale di Non drammatizziamo... è solo una questione di corna, fino alla sua ultima apparizione in L’amore fugge.

Per Truffaut funziona (quasi) sempre così: in ogni film ha un suo personaggio-feticcio, come nel caso della Catherine di Jules et Jim, che nelle parole di Jules è “la donna che tutti vorrebbero”, poi è la tormentata Adele H., un’altra volta è l’infelice “signora della porta accanto”.

Con Doinel questa regola è portata all’estremo, con un’applicazione esponenziale e quasi feroce, l’Antoine adolescente è infatti l’alter ego perfetto del piccolo Truffaut: il primo è rifiutato dalla famiglia, dalla scuola, dalla società tutta, persino dai suoi amici (trova un certo suo paragone letterario nel David Copperfield di Dickens, nel Riccetto o in Tommaso Puzzilli rispettivamente di Ragazzi di vita e Una vita violenta di Pasolini), il secondo cresce con un padre adottivo, che gli dà il cognome, e una giovane madre anaffettiva, che non avvalla alcun rumore o schiamazzo, e per questo François passa le sue giornate in silenzio, a leggere.

Antoine Doinel non è un ragazzino particolarmente buono, ma è molto intelligente, ed è proprio questo il suo problema. Quella sua corsa disperata sulla spiaggia ha di esistenziale anche la sabbia sotto le suole delle scarpe, è la fuga delle fughe, la stretta della camera sul suo sguardo dagli occhi tremuli è il pugno allo stomaco più doloroso di tutta la storia della cinematografia, o almeno di tutta la Nouvelle Vague, fa forse persino più male del mortaio che pesta i resti della cremazione dei corpi di Jim e Catherine in Jules et Jim.

Me la ricordo bene la prima volta che vidi Les Quatre Cents Coups. Avevo nove anni e quel film impattò sulla mia esistenza come uno tsunami.

Nel film Antoine è un dodicenne, appena tre anni più grande della me bambina di allora. Per la prima volta mi sentii capita, come se qualcuno mi avesse preso per mano e catapultato nel film, a vivere il disagio di quel bambino che si sentiva così fuori posto: credo che fosse esattamente questa la sensazione che Truffaut desiderasse trasmettere ad ognuno di noi. Esiste qualcosa di più dolce e straziante al tempo stesso del fermo immagine che chiude I 400 colpi (1959) con lo sguardo smarrito di Antoine? Non credo. Quello sguardo deve averlo avuto ben presente Luigi Comencini, circa sette anni dopo, quando scelse Stefano Colagrande e i suoi occhi dal tormento color pervinca per il ruolo di Andrea, il protagonista del suo Incompreso - Vita col figlio (1966), un altro cult movie rispolverato e celebrato dal vero e proprio remake in chiave contemporanea, tutto al femminile, a firma di Asia Argento: Incompresa (2014). Stavolta è Aria, la bambina dagli occhi grandi ed il cuore impavido, a incollarci allo schermo. 

Di Giuditta Elettra Lavinia Nidiaci