Tutti anarchici con Cospito: è la moda del giorno

Il terrorista anarcoide riaccende il vezzo nazionale di definirsi cane sciolto, fuori dalle regole, eroe solitario contro il mondo. Ma se sono tutti uno più conformista e intruppato dell'altro!

All'improvviso, tutti anarchici. Anzi “anarchisci”. Anarchisci dei Parioli. Anarchisci in Porsche. Tutti: i garantisti patafisici alla Sansonetti, secondo il quale lo stato sta uccidendo uno che rifiuta, lui, di mangiare; la Palombelli che fa il gioco del giaguaro; il Serra che vede fasci dappertutto e li invita a trovarsi un amico; il Feltri minore, “Cospito è un riformista”; i perditempo della Sapienza coi loro volantini stile Brigate Rosse in cui mettono nel mirino tutti, nel tipico furore di chi non conosce più amici o nemici. Fa figo essere anarchisci, fa tanto gioventù restaurata, cazzeggio, licenza di straparlare: “Fuori il compagno Alfredo, no allo stato, alle carceri, alle istituzioni”: e allora che ci fanno a perdere tempo all'Università? Tutti anarchisci, i parlamentari di sinistra, la Ilaria Cucchi che trova il balordone pescarese “grave fino al limite umano”, non parliamo della stampa sedicente progressista. Ci sono mimesi, simulazioni che possono reggere anni, poi basta lo scoccare di una scintilla e vanno in cenere: la stampa presunta democratica nel volgere di pochi giorni ha riscoperto tutti i tic, tutte le attitudini nefaste degli anni di piombo: le minacce velate per la destra, le simpatie niente affatto velate per il terrorista, gli insulti triviali, le ironie volgari sullo stile del “Male”, i pregiudizi, i revisionismi, le false verità: “Cospito sarà anche un terrorista, ma...”. Sarà? No, è un terrorista e basta e lo è con la forza dei fatti. Ci sono le sue lettere dal carcere, simili ai deliri di un bamboccione un po' psicotico: “la vita è nella morte, è nello scontro, non abbandonare la lotta, prendere le armi, abbattere lo stato”. Dopodiché si comporta come un influencer della sovversione e ha già rotto le balle col digiuno strategico. Ha gambizzato, ha organizzato attentati, ha tentato una strage, usava ed era usato da mafiosi, era in contatto con elementi della jihad. Ma ci sono fogli, comprensibilmente al tracollo di lettori, che lo dipingono come un fanciullone innocuo e romantico, che considerano gli unici criminali seriali due parvenu di destra con scarsa attitudine istituzionale.

Tutti anarchisci. Uno dei vizi, delle tare nazionali di questo paese di conformisti, di banderuole sempre dietro al pensiero dominante ma che vogliono essere colti come barricaderi e guerriglieri. Ma l'Italia, notava già Longanesi, è quel posto fatato in cui si pretende la rivoluzione coi carabinieri, e imbarcando il parentame: su fratelli, su cognati, accorrete in fitta schiera. Una delle mortificazioni di un decennio penoso come quello che va dal '68 operaista al '77 dell'Autonomia e del convegno di Bologna sta nel carrierismo di tutti questi leaderini incendiari a parole, ma meticolosamente organizzati nella scalata al cielo del potere. Parlo dei Sofri, dei Lerner, dei Liguori, i Guzzanti, i Mieli, i De Bortoli e potrei andare avanti per pagine e pagine, mettendoci dentro anche non pochi terroristi: tutti casinisti in gioventù, con dietro famiglie benestanti e potenti in grado di farli rientrare nei ranghi una volta finita la ricreazione. E ci rientravano, nelle case editrici, nei giornali, nello spettacolo, nelle televisioni, prima la Rai, poi, in modo massiccio, in quelle di Berlusconi detto il Caimano e il Cavaliere nero: pagava meglio. Ai tempi della sua ascesa in politica, ricordo, tutti inorriditi ma non uno disposto a farsi da parte: la democrazia degli anticipi e se appena glielo facevi notare schiumavano di rabbia e si coalizzavano per farti terra bruciata: zitto infame, noi facciamo la lotta dall'interno, noi siamo leninisti.

Davvero? Non se n'è mai accorto nessuno, dall'interno gli arrivavano i bonifici e la lotta poteva aspettare. Parlavo con qualcuno di questi ultracompagni alla corte dell'imperatore e mi dicevano: problemi? Mai, di nessun genere: basta che lavoriamo, che facciamo marciare la filiera degli show e delle notizie, e poi possiamo dire quello che ci pare. Berlusconi, come ogni monarca capitalista, sapeva che le parole passano, quello che conta e che resta sono i conti in ordine e il potere che ne deriva. Insomma i leninisti di bottega non facevano paura a nessuno. Oggi lo spettacolo si ripete pari pari: i fuoricorso alla Sapienza sono gli stessi che domani verranno cooptati, non aspettano altro, hanno il futuro apparecchiato e lo sanno; gli altri non contano, fanno solo massa e come tale verranno bruciati a tempo debito. Però potranno dire ai nipoti di quell'effimera stagione in cui si scoprirono anarchisci. Cioè italiani, arcitaliani, scrittori, giornalisti, puttane o cantanti che siano. L'anarchia all'italiana o è intruppata o non è, è il trionfo dell'individualismo egocentrico con la scusa del collettivismo antisistema. Prendiamo proprio i cantanti: trovarne uno che rinunci al cliché: prima di me era tutto sclerotizzato, poi sono arrivato io e ho cambiato il mondo, ho aperto strade, ho combattuto il sistema, ho travolto le resistenze. Al prezzo dell'isolamento, la fame, il marciapiede, i boicottaggi, le porte sbattute in faccia, il mondo contro. Ma l'eroe è tale perché insiste e alla fine vince. Tutti eroi, da Bennato a Baglioni, da Renato Zero a Dalla, a Morandi, a Rita Pavone, a Orietta Berti, ai Ricchi & Poveri, fino a quelli recenti: tocca leggere che perfino questo Lodo dello Stato Sociale si ritiene un precursore, un ribelle. Ma se sembra il gemello siamese di sardina Mattia. Uno nato, cresciuto e appassito nel Sanremo istituzionale, di regime. Perfino i Maneskin, gli Achille Lauro, fenomeni costruiti a tavolino come dei Frankestein, tra un contratto con Gucci e uno con il format multinazionale, si camuffano da rompighiaccio, da variabili impazzite: non c'è niente di più conformista, perbenista, moralistico e reificato, per dire ridotto al soldo. O i Ferragnez, che sono la quintessenza della meschinità piccoloborghese con quei musetti e quelle chiappette da provinciali arrivati al bosco verticale di City Life. Anarchisci perché anarchico, all'apparenza, è il loro modo di fare affari, diverso da prima ma ugualmente improntato a quel servilismo dell'ortodossia che non manca mai. Anarchisci non come Leo Ferré, al massimo De André che possedeva mezza Sardegna e mezza Liguria però rileggeva il Vangelo dei poveri e degli emarginati manco l'avesse scritto lui. Anarchisci ma proprietari, latifondisti. Anarchisci per anarchisci, perché non invitare a Sanremo anche il compagno Cospito, magari a cantare “Nessuno mi può giudicare” di Caterina Caselli?