IL CAFFÈ SCORRETTO di Montel
Cambio di guardia alla matita che disegna Gucci
Pinault, dopo sette anni, rinuncia alla creatività di Alessandro Michele per Gucci e vira verso altre visioni di stile
Ho letto su Dagospia che la separazione consensuale tra Pinault e Michele, rispettivamente padrone di Gucci e collaboratore creativo di più alto grado della società, sarebbe come il divorzio di Messi dal PSJ. Come "una Parigi che abbatte la Tour Eiffel", rincaro io, o come l’inizio di una "lunga notte senza Luna in cielo". Tanto, troppo rumore per nulla.
E io che ho creduto a una normale transazione d’affari, a un rapporto di lavoro che non dà più gioia ad alcuno dei suoi contraenti; io che, lo confesso, ho pure chiamato in causa il passaggio di Saturno che dopo sette anni taglia nettamente i legami, di qualsiasi natura siano, o magari li rinnova da capo ma sempre li mette in discussione e ne rinegozia i termini.
E invece no: Michele lascia Gucci e in Italia parte la macchina della dietrologia a spiegarci che il couturier è volato via perché Pinault era insoddisfatto della sua poetica “inclusiva”, che è un altro modo di sussurrare a mezza bocca che Michele sia stato vittima di un’epurazione anti-inclusiva e dunque anti-LGBT. Eh sì perché, seriamente!, quale altro genere di inclusione si può chiamare in causa quando si discute di accessori e capi d'abbigliamento che sono alla portata dei veri ricchi, quelli che non badano a spese pur di essere parte del fashion system (Madame Soumahoro in testa)? Chi si aspettavamo che includesse, Alessandro Michele: le signore dei quartieri popolari? Mah...
Sono perplesso, e resto in attesa di una sua dichiarazione più esplicita in tal senso, nel caso.
Nel frattempo, mi permetto di ricordare ai complottisti a tempo indeterminato che nemmeno a Valentino Garavani è bastato fondare la sua Maison e crescerla fino a trasformarla in un’azienda da 700 milioni di euro per rimanere al timone di essa fino all’ultimo giorno della sua vita (che non è ancora giunto, per inciso), e questo per la semplice ragione che “Quando vendi, non è più tuo” che è la versione padronale di “Quando non è mai stata roba tua, sta a chi la possiede permetterti di lavorarci”.
Senza contare che, a quanto ci dice il gossip, ci sarebbe anche e soprattutto un tema di budget non soddisfacenti a monte della separazione fra Gruppo e dirigente; anche perché, se pure esistono dei precedenti in tal senso, è piuttosto insolito che un allevatore ritiri un buon cavallo da una gara che è in grado di vincere.
Tutto ciò premesso, oso ipotizzare addirittura due scenari diversi, entrambi non così gustosi da meritare lo sdegno o la riprovazione del popolo di pasionari della moda. Il primo: i clienti che si sono riempiti gli armadi coi prodotti Gucci by Michele ora hanno voglia di cambiare, perché cambiare è il senso della moda, perché la moda vive del fatto che tutto quanto “faccia moda” sia già, nell’esatto istante in cui appare, “fuori moda”. La seconda ipotesi, addirittura rivoluzionaria, è che sia stato Alessandro Michele a volersene andare: dopo vent’anni in un gruppo, di cui 7 alla sua direzione artistica, l’ipotesi che sia stato proprio Michele a cercare nuove sfide non ci pare così azzardata.
Resta, da ultima, un’idea fuori gara: magari Alessandro Michele vuole dedicarsi qualche mese a riempire di serpenti corallo, vivi o imbalsamati, i saloni della sua magione. Ne saremmo deliziatissimi.
Buon riposo, Michele, o buon lavoro.