RAI, Mediaset, La7 e l'informazione di regime: forse il Minculpop in salsa mainstream sta per crollare
IL CAFFE' SCORRETTO di Montel
Ieri sera a Otto e 1/2 su La7 si sarebbe dovuto dibattere su immigrazione, prospettive internazionali e scenari futuribili per il nuovo Governo dell'Italia ma, dopo 17 secondi di cappello giornalistico (la notizia nuda e cruda) i restanti 40 minuti si sono rivelati il consueto comizio elettorale, incapace di proporre soluzioni ma solo abile nel rintracciare problemi titanici.
Non ci stupisce, ovviamente, perché ormai siamo abituati alla partigianeria smaccata di chiunque sia sul libro paga di Urbano Cairo (e non solo sul suo); a Mediaset e in Rai la solfa non cambia. In effetti, la tv generalista è il vero, compattissimo partito politico che fa campagna elettorale 365 giorni l'anno per conto di una certa visione del mondo lobbystico-totalitaria e che perdipiù non teme di perdere mai il posto davanti alla telecamera perché provate voi a licenziare un giornalista. Ah!
Va detto: è un metodo che funziona benissimo da un ventennio (vi ricorda qualcun altro?!), dal 18 aprile 2002. Fu quel giorno che la televisione smise di essere un SERVIZIO PUBBLICO per trasformarsi in tribuna populista, sonnifero per l'intelletto, bromuro di Stato. Io, infatti, lo chiamo METOTO BULGARO.
Mi fanno sorridere quei giornalisti, cioè tutti, che hanno speso gli anni '90 a dileggiare il metodo Berlusconi: a mio avviso non solo lo hanno copiato, perfezionandolo, ma sono in tale malafede da non riconoscergli nemmeno il merito di averlo partorito. Vabbe', è la solita storia: il figlio che uccide il padre: Ovidio in salsa Freud.
In effetti, non esiste programma di "approfondimento" (li chiamano così, ma guai ad approfondire la realtà: vende molto di più il dileggio superficiale, la perculata, il tutti-contro-uno) non esiste talk, o telegiornale o speciale che sia esente da questa polarizzazione che non esito a definire demenziale, in quando induce chi li segue acriticamente a quella forma di demenza che ha, come primo sintomo, l'abrogazione del dubbio e dello stimolo alla documentazione polifonica.
Non farò i nomi di quelli a cui mi riferisco perché sarebbe far loro un piacere. Basti sapere che, per chi scrive, stiamo parlando del 99,5% dei volti che ci sono tanto familiari. La percentuale, mi si creda, non è campata per aria, perché l'esercito dei travèt dell'informazione è sterminato e non riesco a ricordare più di una manciata di professionisti con la P maiuscola.
Però, forse, l'aria sta cambiando.
Ma concedetemi una piccola didascalia: il Metodo Bulgaro è quello schema di messa in scena televisivo in cui il presentatore invita un nutrito numero di ospiti, rigorosamente a "libro paga" del suo stesso Padrone, a dargli ragione, ad argomentare in sua vece, a sputare sentenze e contumelie all'indirizzo del nemico comune (ovvero chiunque provi a proporre seppur minime modifiche allo status quo dell'Ordine Mondiale Atlantista e Pieddino). Ma siamo solo a metà ricetta: affinché la rappresentazione non si mostri per ciò che è, ovvero un comizio arrogante intriso di degnazione e supponenza, il conduttore di turno si procura un paio di attori chiamati a fare da controcanto; il numero in verità è variabile, ma la proporzione è quasi sempre 3 "amici" a 1 "oppositore", talvolta pure 4 a 1. A costoro va bene anche essere linciati, sia chiaro!, perché ogni ospitata sono soldi, o followers, o accreditamento presso Il Padrone che, non si sa mai, potrebbe anche far cadere una briciola di torta dalla tavola e poi si sa: esserci, anche in qualità di vittime sacrificali, è sempre meglio che non esserci.
Ma l'aria sta cambiando, dicevo.
Ieri Lilly Gruber dà avvio al suo programma convinta che sia un lunedì di tutto riposo. Solitamente, circondata com'è dalla sua corte di cicisbei, le basta agitare la penna per "dirigere il traffico" perché tanto la trasmissione non ha un tema ma una tesi già accreditata (ieri sera: "Italia, grande perdente") e i suoi ospiti-controcanto sanno che se vogliono tornare da lei il loro mandato è quello di sostenere le propie posizioni lasciandole però il diritto di canzonarli, sbeffeggiarli, interromperli, ridicolizzarli con ogni strumento, comprese le sue smorfie e la manina cassativa. Sanno anche, costoro, che da Lilly non si "porterebbe a casa" nulla, anche a esser battaglieri, in quanto il programma si conclude sempre con una rubrica curata da Pagliaro che riconferma la tesi scritta già nel titolo. Insomma: è come se la Gruber potesse contare sugli applausi finali registrati. Il che non significa che non sia una professionista capacissima (non come reporter, ma come donna di spettacolo); lei è brava, nel suo: padroneggia la PNL, i tempi comici e le fragilità espressive altrui, ma purtroppo io ricordo Biagi e Montanelli e Cervi (fra i tanti) fermi come statue, e ricordo la brevità delle loro domande, anche, in contrapposizione ai comizi dei loro "eredi" di oggi. Eppure ieri, chissà come, alla terza volta che Giannini, inossidabile villano avvezzo a interrompere sempre l'interlocutore, perlopiù con una battuta futile, al solo scopo di fargli perdere il filo del ragionamento...ieri sera Italo Bocchino si è proprio stizzito, catturando la simpatia di Cacciari, Bonalumi e anche la mia:
"Devo interromperti" gli dice la Gruber dopo che lo ha già fatto tre volte e aver permesso a Giannini di farlo almeno otto senza dir nulla.
"Fate Sempre così. Questo è il vostro metodo" risponde lui.
Piccolo istante di gelo, non foss'altro perché Lilly sa che è stata beccata con le dita nel miele e siccome non le garba essere ripresa da chicchessia (è il delitto di LESA LILLYTA') si affretta a dire "Io sono la presentatrice, non un'opinionista". Seeee, vabbe'!
Sia come sia, l'energia in studio è cambiata: Cacciari, in collegamento, che aveva già osato darle torto, in modo documentato e preciso, si ringalluzzirse al punto da confutare sempre, punto su punto, ogni sua banalità e la Bonalume, che dopo un primo intervento molto serio ed equidistante non è stata più interpellata, a sua volta mostra segni di empatia per Bocchino.
Dal momento che non credo alle favole e non oso sperare che la buona educazione sia tornata protagonista della nostra tv, posso darmi una sola spiegazione: il controcanto ubbidiente del ventennio bulgaro non spera più nelle briciole di quella torta e forse sta maturando la consapevolezza che, seppure l'Italia non ha mai saputo liberarsi del Minculpop, riservò a Ciano e ai cantori della mono-narrazione un brutto trattamento.
Il Potere rimarrà tale e quale, perché è nella storia dell'Uomo che sia così, ma forse nascerà un giornalismo televisivo più serio, limpido e pluralista a raccontarlo. Noi lo speriamo.