Il Pride non aiuta i gay, li ghettizza

L’omosessualità è la normalità ma il Gay Pride non fa altro che accentuare le differenze tra loro e gli etero. Indi per cui, il Pride fa malissimo agli omosessuali

C’è chi, da omosessuale, non va al Pride perché si vergogna di trovarsi accanto dei pagliacci esibizionisti, c’è chi va per mostrare solidarietà a gente per anni umiliata ma lo fa con basso profilo, pensando di trovare sostanza invece trova solo apparenza, tra uomini truccati da donna, cartelli contro Matteo Salvini e Giorgia Meloni, catene, baci con slinguazzamenti annessi, musica a tutto volume, gente obesa che si massaggia la pancia, uomini magrissimi in tacchi a spillo, donne con slogan tipo “la do a chi mi pare ma è sempre meglio di essere etero”, e altre situazioni del genere di cui un normalissimo gay si vergogna non poco.

Il Gay Pride ormai è una pagliacciata alla mercè delle associazioni di sinistra, dei locali da ballo e della politica più becera e politicamente corretta. Non c’è una parola sulla discriminazione poiché lo spettacolo viene prima dei concetti, l’apparire è meglio dell’essere, la trasgressione volgare è meglio della normalità, i carrozzoni con fumi colorati e uomini vestiti da donna (e viceversa) sono il mood della manifestazione, e s’innalzano a valori la famiglia omosex (vero, la famiglia è dove c’è amore ma di certo un figlio non lo puoi fare e comprarlo in provetta è schifosamente aberrante) e la liberalizzazione delle droghe. Tutto questo non fa solo accapponare le palle alle famiglie e agli etero, che prendono ancora di più le distanze da questa pagliacciata, ma infastidiscono parecchio i gay che vivono la loro sessualità in maniera normalissima e che a vedere queste cose si vergognano non poco. Il Gay Pride è quindi sempre più una chiusura, una ghettizzazione, dove gli omosessuali (la parte più marcia) se la canta e se la suona.

È oggettivo che certe situazioni allontanino l’opinione pubblica dall’argomento “omosessualità” poiché, se rappresentata in quel mondo, rischia di far fare cento passi indietro piuttosto che uno avanti.