Da Polanski alla "mafia" del politicamente corretto, Luca Barbareschi rivendica il suo disprezzo verso il mondo woke e la censura, non solo culturale ma anche artistica (Esclusiva)

Quasi un'ora di chiacchierata, questo è quanto ho avuto a disposizione per presentarvi un Luca Barbareschi senza filtri, per certi versi “rivoluzionario”, come sempre controverso, ma anche per questo affascinante

Come disse tempo fa Vittorio Feltri, i giornalisti italiani sono i più liberi nel servire gli interessi dell'editore, peccato che lo scrivente sia il più incapace yes man che l'editoria ricordi. Nel rispetto del prossimo, il sottoscritto è un libero pensatore che i panni del servo non li riesce proprio a indossare. É così quando scrivo i miei romanzi, e lo è ancora di più quando interpreto il ruolo del giornalista e incontro persone eccezionali come Barbareschi. Il protagonista dello straordinario The Penitent è qualcosa di più di un uomo di grandissima professionalità, è una persona che conserva concretamente qualcosa da donare al suo interlocutore, non solo a livello culturale, ma umano.

Poliedrico artista a 360 gradi, Luca è stato tutto e il contrario di tutto. Attore, produttore, regista, presentatore, politico e ora anche ballerino a Ballando Con Le Stelle. Insomma, c’è da chiedersi in cosa altro si possa cimentare. Sì, è vero, il nome di Barbareschi fa rima con le accuse più improbabili, per lo scrivente ben oltre il limite del ridicolo, dall’omofobia al fascismo e, pur rivendicando il suo essere un uomo culturalmente di sinistra, non nega di preferire la Meloni alla Schlein, ma potete dormire sonni tranquilli perché in questa chiacchierata abbiamo messo i puntini sulle “i” e restituito orgoglio a quella cosa che porta il nome di “verità”, un orgoglio smarrito negli ultimi anni perché la gente sembra “accecata dalle grandi bugie”, come diceva il poeta.

Attenzione, gli animi sensibili di murgiana memoria, le pie pellegrine del gender fluid e gli affezionati a una certa cultura radical chic al gusto “porchetta e gauche caviar”, potrebbero sentirsi offesi dalle terminologie e dai pensieri del nostro interlocutore, ma tant’è, non siamo disposti a censurare le parole di qualcuno solo perché “pericolose” per chi ha fatto del bavaglio una bandiera da sventolare tra mille colori e sorrisi di circostanza.

Ciò detto, passiamo ai fatti. In compagnia di un buon chardonnay e assaggiando dei sigari di vera eccellenza, in pieno stile english abbiamo piacevolmente chiacchierato di tutto, e quando dico di tutto, parlo di una conversazione senza esclusione di colpi, con tanto di nomi, cognomi e soprannomi.
Buona lettura.

Luca, la prima domanda per rompere il ghiacco è quasi ovvia: con il curriculum che hai, c’è qualcosa che ancora vuoi fare?
"Tantissimo! Sono un curioso che conserva il cuore di un quindicenne. Devo ancora fare la rock star, il photo reporter, il documentarista, e sto anche studiando direzione d’orchestra da 5 anni. Finché funziona il cervello, secondo me è bello essere aperti".

Essere così poliforme ti ha aiutato?

"Diciamo che non mi ha fatto bene, perché dal punto di vista del marketing se io ti dico Benigni, tu rispondi ‘comico’, se dico Elio Germani rispondi ‘attore drammatico’. Se dici Barbareschi, non c’è una vera risposta, il miglior modo per comprendermi è entrare all’Eliseo”.

Parliamo di cinema. Ti faccio solo alcuni dei primi nomi che mi vengono in mente con cui hai lavorato: Ruggero Deodato, Umberto Lenzi, Salvatores, Avati, Vanzina e Polanski. Da amante della materia e conoscitore della tua carriera, mi permetto di dire che hai preso parte sia film straordinari, sia a pellicole che, permettimi un intercalare diplomatico, definiremo meno riuscite. Quali sono i titoli di cui vai più fiero e quelli di cui ti vergogni ancora oggi?
"Il Pianista e L’Ufficiale E La Spia sono i film di cui vado più orgoglioso. In particolar modo, per quanto riguarda Il Pianista sono particolarmente arrabbiato perché era un mio film, prodotto da me, poi ci furono i noti arresti e scandali Rai, la quale non mi diede mai i soldi, e io fui costretto a regalare la pellicola a un francese. Ho sofferto tanto, non solo per l’Oscar, ma perché era un film veramente perfetto. Altrettanto lo è J’Accuse, ovvero L’Ufficiale E La Spia. Non essendo uno snob non posso dire di disconoscere qualcosa che ho fatto. Diciamo che le produzioni in cui mi sono rotto i coglioni sono state quelle referenti il periodo degli “articoli 28”, dove si facevano tanti di quei film per i quali non si capiva neanche di cosa stessimo parlando. Su tutti mi viene in mente Il Lungo Inverno, di Barnabò Micheli. L’ho rivisto e ancora non l’ho capito (risate nda)".

A proposito dei grandi film che ti vedono tra i protagonisti, non posso non chiederti che ricordi conservi di The Palace, l’ultimo di Polanski?
"Sono amico di Roman (Polanski ndr) da quasi cinquant'anni, ero a Los Angeles quando ci fu quella cosa lì (Polanski, nel 1973, andò a processo a Los Angeles con l’accusa di avere stuprato una minorenne, Samantha Geimer). È terribile che un genio assoluto, uno dei miei quattro amici veri, l’uomo più buono e gentile che abbia conosciuto nella mia vita, uno che ha fatto sua la frase ebraica ‘D-o è nel dettaglio’, uno che a 90 anni vedi in ginocchio sul set a pulire una cosa che non gli piace, uno che ama e comprende gli attori, ecco, l’idea che quest’ultimo film, il ritratto di un uomo di 90 anni e di come vede il mondo con tutte le sue mostruosità, venga definito dal primo deficiente in rete come ‘diarrea fatta da un rincoglionito’, mi fa soffrire e arrabbiare. Questa è quella che in ebraico si chiama maldicenza, un male che uccide chi la dice, quello di cui parli e chi la ascolta. Poi, non dimentichiamoci mai che lui è un cittadino francese, è nato in Francia, e il fatto che il suo Paese permetta che si facciano i picchetti davanti al cinema con quattro sgallettate per impedire l’ingresso in sala, è per me la decadenza dell’occidente. Come diceva il mio rabbino, Jonathan Sachs, la differenza tra mafia e post moderni è che i post moderni ti dicono cose che non capisci e la mafia fa offerte che non puoi rifiutare".

A proposito di critiche, il tuo ultimo film del 2023, The Penitent, un lungometraggio molto talmudico per certi versi, non offre neanche un lontano richiamo al mondo LGBTQ+, alla Cancell Culture e a tutto quello che ormai Hollywood sembra imporre in ogni sorta di produzione
"Quella è una moda che finirà e sta già finendo. Noi ovviamente ci arriviamo sempre dopo, pensa al Mc Donald’S a Piazza di Spagna qui a Roma, l’abbiamo aperto 20 anni dopo che gli americani avevano smesso di mangiare quei panini".

Capisco, ma la domanda vera è: quanto ha influenzato sui risultati di botteghino questa tua posizione avversa al movimento woke e robe simili?

"Guarda, vedrai come The Penitent andrà bene sulle piattaforme, ma il problema non è tanto il botteghino, quanto la stampa, una stampa semplicemente cretina. Poi considera che questo film è dedicato a due persone a me care, il mio rabbino che ho già citato, Jonathan Sachs, e lo psichiatra canadese che io amo di più, Jordan Peterson, che è l’unico che combatte questo mondo di imbecillità, motivo per cui è stato anche cacciato dalla sua università".

Senza che ci nascondiamo dietro un dito, perché secondo te una certa “sinistra”, quella che si è autoincoronata radical chic, quella del famoso amichettismo, ti considera di destra?
"Perché loro hanno creato una mafia, ti basti pensare che si danno i premi fra di loro per prendere i contributi selettivi. È un gioco in cui tu non tocchi mai la palla. Ti racconto un episodio divertente. Ai tempi di Il Pianista, chiamo Rondi (ex Presidente dell’Accademia del Cinema italiano, l’ente che assegna il Premio David Di Donatello ndr), e gli dico che sono da due anni a Los Angeles e vorrei essere invitato con il mio nuovo film ai David. Lui mi dice che non è possibile perché in Italia mi odiano tutti, però mi chiede il numero di Polanski, che io ovviamente non gli do e lo invito a chiamare il suo agente. Dopo poco mi chiama Roman e mi chiede cosa stia succedendo, ed io gli spiego che avrei voluto il film ai David, e lui mi risponde ‘ci penso io’. Te la faccio breve. Passati 30 minuti suona il telefono ed è di nuovo Rondi che si scusa, e mi chiede di essere io a consegnare il Premio che hanno deciso di consegnare a Polanski. In pratica, Roman aveva imposto la mia presenza, e in più aveva chiesto una carta di credito illimitata per andare a cena fuori eccetera. Morale, sono costato ai David 70.000,00 euro. Sarei venuto gratis, questo è il metro della stupidità di certa gente. Il merito, non c’entra più niente. Perché non posso essere candidato ai David? Una volta, poi perdo perché magari arriva uno più bravo, ma invece la partita è sempre truccata. Questo offende me, e offende l’industria cinematografica che è morta, per cui ci troviamo i Castellittos, ovvero le dinastie dei vari Castellitto. In America ogni anno l’industria cerca di tirare fuori i nuovi Paul Newman, i nuovi Steve McQueen, che si chiamano Tom Cruise, Ed Norton eccetera, da noi sono sempre gli stessi. Io ho 60 persone che lavorano per me, sono molto bravi, ma non so cosa votino, mentre qui il problema è cosa uno vota. Questa è gente di sinistra? Non credo. Io sono di sinistra, non loro".

"La tolleranza arriverà a un tale livello che alle persone intelligenti sarà vietato fare qualsiasi riflessione per non offendere gli imbecilli".

(F. Dostoevskij)

Ti senti ancora legato o appartenente alla tradizione socialista?
"Io sono un vecchio socialista e craxiano a vita, ma la cosa più assurda è un’altra. Ci hanno fatti fuori attraverso il protocollo Point Dexter, usando i magistrati che hanno anche ammesso sei mesi fa di essere stati pagati dall’America per far fuori Bettino (Craxi ndr), e io per 35 anni sono stato offeso per il fatto di essere socialista. Chi è realmente di sinistra, dopo la diaspora che ha seguito lo scioglimento del PSI, certamente non avrebbe mai potuto votare per i propri aguzzini, per chi ha letteralmente ucciso Craxi, De Michelis, di cui ero un carissimo amico, ed è ovvio che a suo tempo si unì con Berlusconi, che comunque era nato a pane e Craxi, due veri fuoriclasse, ognuno nella sua specialità. Non dimentichiamoci che Silvio (Berlusconi ndr) era l’unico contro la Primavera Araba, contro Blair e Sarkozy, e se oggi siamo nel merdaio attuale è proprio grazie ai già citati Blair e Sarkozy, che alla fine dei conti ce l’han sempre messo nel culo. Tra l’altro, gran parte di quelli che escono dalla storia socialista, vedi Mentana e Floris, ce li ritroviamo ancora tutti in prima serata alla televisione e sembrano aver dimenticato da dove vengono. Io ero il più giovane. A casa di Giovanni Minoli c’erano tutti a bussare alla porta. C’era uno spirito bellissimo, sognavamo una Rai tipo Channell 4, e devo dire che tutta quella generazione, compresa la Gabbanelli, sono tutti figli di Minoli, quindi dei socialisti di quegli anni lì, e hanno fatto tutti successo, incluso io".

Chiudendo con la politica, oggi il pensiero di sinistra sembra essere rinchiuso esclusivamente in concetti come woke, cancell culture, lgbtq+ eccetera, dimenticando le grandi lotte della vera sinistra. Chi non è d’accordo è considerato fascista. Cosa ne pensi?
"Mi chiedo quanto conti la loro opinione. A me fa sorridere che ogni volta che apre la bocca la Schlein, Giorgia Meloni acquista mezzo punto. Il direttore del New York Times l’ha capito, anche il Sun ha iniziato a menare giù duro contro tutti questi movimenti. Chi rappresenta questa cultura, se vogliamo chiamarla così? Lo 0.3%. Per carità, è giusto che esistano, ma aver paura che uno mi attacchi sui social perché ho detto che c’è la mafia dei froci, cosa ribadita con il famoso ‘frociaggine’ anche dal Papa, a me che ho parlato di bisessualità tutta la vita è ridicolo. Io non ho nulla contro i froci, ho parlato di mafia dei froci che è una cosa diversa. Han fatto una copertina in America 20 anni fa sulla ‘the pink mafia’ e qui sembra che la gente non ricordi".

Luca, chiudiamo con Giorgia Meloni, nell'ultimo periodo attaccata un po' da tutti i fronti, a torto o a ragione a seconda dei casi. É una vittima o una carnefice?
"Ti dirò qualcosa che per molti potrebbe essere inedito. Io so dell’incontro tra Kissinger e Moro, quando il Presidente Americano gli disse che il PIL italiano doveva rallentare e alla domanda di Aldo (Moro ndr) ‘sennò?’, mi pare che in tutta risposta siano arrivate le Brigate Rosse. Io penso che oggi Giorgia Meloni, che reputo una donna estremamente brillante, abbia una battaglia difficilissima di fronte a sé".