Draghi al Quirinale: i partiti convergono ma la sua nomina rischia di cambiare faccia alla nostra Repubblica

Il prossimo 4 gennaio il Parlamento si riunirà per nominare il prossimo Capo dello Stato: l'ipotesi Draghi è al momento la più probabile ma anche la più pericolosa

Si avvicina l'elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Mario Draghi è da mesi fra i più papabili. Tanto che già sul finire di settembre a diretta domanda rispose abbastanza stizzito: "(questa domanda)È offensiva nei confronti di Mattarella. E poi non decido io, decide il Parlamento." Da allora i nomi sul futuro inquilino del colle non sono andati aumentando più di tanto. Si è fatto un gran parlare di Berlusconi, più per questioni mediatiche che non di effettiva concretezza della possibilità. Dopo tante giravolte Mario Draghi rimane in cima alle preferenze dei partiti, ma non degli italiani. In un recente sondaggio commissionato dalla trasmissione La7 PiazzaPulita è emerso che solamente il 23,8% degli intervistati gradirebbe uno scenario simile.

Il perché di Draghi 

Draghi è formalmente a capo dell'esecutivo dal 13 febbraio 2021 Quattro giorni dopo ottiene una maggioranza pressoché assoluta in Parlamento. Al Senato si dichiarano favorevoli 262 su 315, con solamente 40 contrari tutti provenienti dalle file di Fratelli d'Italia. Il suo arrivo è stato anticipato da una campagna mediatica partita in sordina e poi andata amplificandosi negli ultimi, decisivi, giorni. Ecco dunque giungere l'ennesimo uomo della provvidenza, chiamato a gestire i 209 miliardi di euro gentilmente concessi dall'Unione Europea tramite il Recovery Fund. Chi meglio di lui in effetti, l'ex Presidente della Banca Centrale Europea, fra i massimi esperti mondiali di politiche monetarie e fiscali. L'uomo del famoso "whatever it takes" che la narrativa dominante vuole come la frase che da sola hanno svoltato una crisi economica potenzialmente letale.

Un nome dunque talmente altisonante che per i partiti non c'è stato molto da discutere. Un nome, è bene sottolineare, non solo gradito all'Unione Europea, ma forse così preminente da essere egli stesso l'Unione Europea. Ecco quindi che, oltre a far tornare nei ranghi economici un paese storicamente poco diligente come l'Italia, si neutralizza definitivamente anche la famosa parentesi giallo-verde. Sembra un lontano ricordo l'Italia a trazione sovrano-populista che neanche tre anni fa "terrorizzava" osservatori politici e attivisti filo-europei. Draghi ha pacificato anche questo aspetto.

Una Repubblica Parlamentare o Presidenziale?

Il tempo scorre e lo scudo che protegge Supermario dal melmoso dibattito politico si fa ogni giorno sempre più debole. Prima o poi, e questo è fatto ben noto, anche Draghi dovrà giustificare la propria presenza agli altri attori politici. Ma nessuno s'immagina l'uomo della Banca Centrale Europea rispondere alle dichiarazioni del giorno di Salvini o di Tajani. Quindi ecco che l'ipotesi Quirinale riuscirebbe a risolvere quest'intricata tensione che si profila all'orizzonte. Draghi è troppo autorevole per abbassarsi alla discussione politica quotidiana, e per di più non è possibile per l'Italia perdere quell'autorità ritrovata ai tavoli europei dopo decenni. Chi si occuperà poi delle decine di miliardi da stanziare ancora per tanto tempo. L'ipotesi Quirinale darebbe all'Italia tutto questo, togliendo Draghi dall'impaccio di giustificare la propria esistenza. 

Questo, va da sé, darebbe tutto un altro peso alla carica di Presidente della Repubblica nel nostro paese. Nella teoria il Capo dello Stato in una Repubblica Parlamentare come la nostra si pone sopra le parti. Sopra i partiti, sopra le discussioni, sopra le direzioni politiche. Il Presidente della Repubblica si pone a garante della Costituzione, ha un decisivo impatto sulla vita giuridica del paese, ma non indirizza il dibattito politico. Non rappresenta un'idea piuttosto che un'altra, ma lo spirito nazionale tutto, fatto di tesi e antitesi. Draghi al Quirinale non garantirebbe niente di quanto appena menzionato. Sarebbe inoltre difficile infatti immaginare un personaggio che, come già ricordato, possiede un'autorità talmente grande che i partiti non si azzardano a contrastare, ridursi a essere minoritario rispetto al futuro Primo Ministro. Non è un caso che Giorgetti, mente politica della Lega, parli di Draghi al Quirinale come di un avvio verso un "semipresidenzialismo de-facto". Una modalità di gestione del potere propria della Francia, non dell'Italia.

Parole, quelle di Giorgetti, che sembrano aver improvvisamente aperto gli occhi ai partiti sulla realtà che si rischia di sviluppare di qui a poco, se gli stessi partiti non prenderanno alcun provvedimento. È facile infatti immaginare un uomo di Draghi come Primo Ministro nel caso in cui venisse nominato Presidente della Repubblica. Ecco quindi lo scenario francese appena paventato prospettarsi: l'assetto costituzionale invertito, una Repubblica (semi)Presidenziale a guida Mario Draghi. Anche Conte, nelle settimane passate principale sponsor di Supermario, tornare sui suoi passi: "Non abbiamo bisogno di uomini della provvidenza. L'Italia storicamente deve stare attenta". Come a dire che da salvatore Mario Draghi rischia di diventare tiranno. Forse un po' troppo. Staremo a vedere.