L’incanto del Cimitero Monumentale Staglieno di Genova: tra tombe e statue dai dettagli minuziosi e leggende senza tempo
Situato a Genova, Staglieno è uno dei cimiteri monumentali più importanti d’Europa, inaugurato nel 1851 e progettato originariamente da Carlo Barabino, con il completamento affidato a Giovanni Battista Resasco
C’è un luogo a Genova dove l’arte, la memoria e la vita quotidiana si intrecciano in un racconto che va oltre la morte. È il Cimitero Monumentale di Staglieno, inaugurato nel 1851, un autentico pantheon laico che ospita statue, simboli e storie che hanno fatto il giro del mondo. Non un semplice camposanto, ma un museo all’aperto, visitato da scrittori, artisti e viaggiatori che, tra i viali silenziosi, hanno trovato un condensato della sensibilità ottocentesca e della società borghese ligure.
Con i suoi porticati infiniti, le gallerie e le statue di marmo candido che spuntano tra i cipressi, Staglieno assomiglia a una città parallela, silenziosa e poetica. Non a caso molti viaggiatori illustri - da Mark Twain a Friedrich Nietzsche, da Guy de Maupassant a Ernest Hemingway - lo descrissero nei loro diari come una tappa imperdibile, capace di stupire quanto i palazzi signorili o i caruggi del centro storico.
Qui riposano uomini politici come Giuseppe Mazzini, figure del Risorgimento, benefattori e imprenditori, ma anche personalità più vicine al nostro tempo, come Fabrizio De André.
E poi ci sono gli aneddoti che danno vita al mito: si dice che Nietzsche, visitando Staglieno, rimase talmente colpito dalla bellezza delle statue da definirlo “un tempio della malinconia”. Mark Twain, invece, ne scrisse con entusiasmo nelle sue cronache di viaggio, stupito dalla forza espressiva delle sculture e dalla cura che la città aveva dedicato a questo luogo.
Tra i capolavori che ne hanno costruito la fama, due monumenti in particolare colpiscono per intensità e potere evocativo: la Tomba Ribaudo e la Tomba di Caterina Campodonico.
L’angelo che ha conquistato il rock: la Tomba Ribaudo
Un angelo con le ali spezzate, abbandonato sul sarcofago, il volto nascosto tra le braccia. È l’Angelo Caduto scolpito da Onorato Toso per la famiglia Ribaudo, un’immagine che ha segnato l’immaginario collettivo. Qui la religione lascia spazio alla disperazione umana, al dolore privato che diventa universale.
Tanto potente da travalicare i confini del cimitero, l’angelo di Staglieno è entrato persino nella cultura pop: nel 1980 fu scelto come immagine di copertina alternativa per il singolo “Love Will Tear Us Apart” dei Joy Division. Un simbolo della malinconia post-punk, che ancora oggi attira fan da tutto il mondo.
L’angelo trasuda amore sofferto e passionale, e impressiona perché almeno una volta nella vita ci siamo ritrovati tutti in quella disperazione universale che solo il linguaggio dell’amore conosce.
E’ una creatura palesemente tormentata dallo struggimento per la perdita di una persona cara, raffigurata sdraiata in modo sensuale nel sepolcro, con la veste quasi trasparente, una mano sul volto e le enormi ali appoggiate a terra.
Si leggono appena- in uno degli spigoli del sepolcro- alcune parole, sbiadite dal tempo e dalla polvere: “…quando all’intorno ogni altra cosa tace’’.
Caterina Campodonico, la “signora delle nocciole”
Se la Tomba Ribaudo incarna il dolore, quella di Caterina Campodonico racconta invece la fierezza. Venditrice ambulante di collane di nocciole e canestrelli, visse una vita di fatica tra mercati e fiere. Eppure, con i risparmi accumulati centesimo dopo centesimo, volle regalarsi un monumento che fosse degno della sua dignità.
Lo scultore Lorenzo Orengo la raffigurò in piedi, elegante ma con i segni del suo mestiere: tra le mani stringe le reste di nocciole che l’avevano resa conosciuta. Ai piedi della statua, un’epigrafe in dialetto genovese narra la sua storia, scritta dal poeta Giambattista Vigo. Non la memoria di un’aristocratica o di un’eroina, ma quella di una donna del popolo che non accettò di essere dimenticata.
Una vera e propria storia di riscatto femminile, di forza, di indipendenza e di fierezza al di là di qualsiasi contesto sociale.
Se da una parte la tomba Ribaudo ci parla del dolore universale e della fragilità umana, quella di Campodonico racconta la forza, la resilienza e la dignità di una donna che ha trasformato la sua vita in un monumento d’arte.
Un luogo dove la morte parla di vita
Passeggiare a Staglieno significa compiere un viaggio nel tempo. Qui l’arte funeraria non celebra soltanto la fine, ma racconta vite, speranze e contraddizioni di una città intera.
Ogni angolo racconta una storia, ogni volto scolpito nel marmo restituisce emozioni senza tempo. È un’esperienza che invita alla riflessione, ma anche alla meraviglia: un itinerario insolito che arricchisce lo sguardo del viaggiatore, molto oltre la dimensione pacifica del ricordo funebre.
Genova sorprende così, con un cimitero che è al tempo stesso giardino romantico, museo ordinato e specchio dell’anima cittadina. Un luogo dove la morte non terrorizza ma apre infinite narrazioni.
D’altronde, quando anche la morte si fa poetica, di cosa dovremmo mai aver paura?